Tutto accadde quel martedì, anche se la storia ebbe inizio qualche giorno prima, nell’ufficio di Tullio Trebatio Fandonius, docente di Storia dell’Ingegneria e braccio destro di Vinsar.
«Vede, Professore,» stava dicendo Ysaahi, incapace di trovare pace sulla scomoda panca che assomigliava più ad un triclino che ad una sedia, «so di essere solo all’inizio e che il cammino per completare la mia formazione ingegneristica è ancora lungo, ma ho la sensazione di non fare abbastanza. I miei voti sono buoni ma non eccezionali; vorrei poter approfondire diversi argomenti ma le lezioni sono tante e non ho materialmente il tempo di dedicarmi alle cose che preferisco.»
«Cave canem, Cadetto» la interruppe il Nuovo Romano, alzando la mano destra in un gesto perentorio, «la fretta è una cattiva consigliera. I corsi del biennio sono studiati appositamente per offrire una formazione di base ad ampio spettro ed assicurare solide fondamenta alla preparazione dello studente.»
'Parla proprio come un ingegnere' pensò Ysaahi, continuando a fissarlo con occhio languido. «Ma mi sento così inadeguata,» aggiunse a voce alta, con tono flautato, «e l’ingegnere Vinsar è sempre così severo…»
Fandonius interrogò nuovamente il monitor. «Le sue votazioni nel ramo ingegneria mi sembrano ottime, ben al di sopra della media. Non penso lei abbia nulla da rimproverarsi, dovrà solo impegnarsi per confermare questo iter.»
«Gaudeamus igitur» disse lei, arrossendo visibilmente. «Se lo dice lei, Professore, non posso che esserne fiera. Le do la mia parola che cercherò di fare sempre del mio meglio.» Fece per alzarsi ma l’Istruttore non diede segno di volerla congedare. «La sua dedizione alla causa le fa onore,» riprese, «le anticipo che, tra qualche giorno, è prevista una esercitazione pratica di ingegneria astronavale. La prenda come una sfida personale, un’occasione per distinguersi. Sono certo che saprà farsi onore e fugherà ogni immotivato dubbio sulle sue capacità.»
«Tu ne quaesiris…» mormorò la denobulana. Fandonius la guardò con aria interrogativa.
«Quid?» domandò.
«Nulla,» si affrettò a spiegare, «stavo pensando ad alta voce.» Si alzò in piedi scattando sull’attenti. «Bene, Professore, la ringrazio per le parole di incoraggiamento e farò di tutto per non deluderla: alea iacta est!»
La porta si chiuse sibilando alle sue spalle lasciando il Nuovo Romano pensieroso alla sua scrivania. «Vanitas vanitatis et omnia vanitas» commentò, poi spense il monitor e si adagiò sul triclino.
Fuori dalla porta, Ysaahi trovò l’inseparabile A.J. ad aspettarla.
«Allora?» chiese il ragazzo con una certa preoccupazione, «come è andata?»
«Ce l’ho in pugno!» esclamò la denobulana con soddisfazione. «Tutti uguali, questi Istruttori. Basta una lisciatina, un po’ di autocommiserazione, qualche parolina al posto giusto e cadono come pere.»
A.J. faticò a ritrovare l’uso della parola. «Vuoi dire…» balbettò, «vuoi dire che hai recitato una commedia davanti al Prof?»
«Carpe diem, Professore» mimò lei, con voce melliflua. «Carmina non dant panem. Credimi A.J., la manovra a tenaglia ha sempre portato buoni frutti. Vinsar è un osso troppo duro per essere preso di petto ma Fandonius dà delle speranze. Bisogna farsi vedere, conoscere, apprezzare. Devi diventare l’ultimo viso che hanno in mente quando vanno a casa la sera e la prima cosa a cui pensano quando accendono il monitor la mattina.»
«Un incubo insomma» si lasciò scappare il ragazzo, ma Ysaahi non diede segno di averlo sentito.
«La concorrenza è spietata, qualsiasi vantaggio, anche minimo, deve essere sfruttato. Al momento di stilare le classifiche, il tuo deve essere il primo nome che si presenta alla memoria e voglio fare in modo che il mio rimanga ben impresso nelle sinapsi di Fandonius.»
«Ysaahi, tu mi spaventi.»
«Certo questa esercitazione di ingegneria astronavale mi preoccupa un po’…»
«Quale esercitazione?» chiese A.J., aggrappandosi al primo discorso sensato nel mare magnum delle divagazioni dell’amica.
«… però l’occasione è buona. Dopo questa sceneggiata non posso certo tirarmi indietro, DEVO farmi notare…»
«Quale esercitazione?»
«… se fallisco, impiegherò settimane a ricostruire la mia immagine…»
«QUALE ESERCITAZIONE?» gridò A.J. sulla soglia di un esaurimento nervoso. Ysaahi lo guardò con aria di rimprovero, seccata per quella interruzione.
«A.J. come sei noioso. Cosa vuoi che ne sappia? Una esercitazione di ingegneria astronavale, tra qualche giorno, nel corso di Vinsar. E non stare lì a fissarmi con quello sguardo da cernia: trova tuo fratello e fatti spiegare di che si tratta, poi fammi un rapporto completo. Dobbiamo studiare un piano d’azione.»
Si dileguò mentre A.J. si accasciava sul divanetto, completamente esausto: lì lo trovò Fandonius uscendo dal proprio ufficio per andare in mensa.
Alla fine ci fu ben poco da organizzare. L’esercitazione era alla sua prima edizione quindi Rick, il fratello di A.J., pur essendo ormai all’ultimo anno, non poté essere di alcun aiuto. Nemmeno le incursioni degli hacker informatici dell’Accademia riuscirono a violare le protezioni dell’archivio centrale.
Piazzale principale, martedì, ore 8.00. Questo era tutto quello che si riuscì a sapere sulla misteriosa prova di ingegneria. Ysaahi era irrequieta: aveva studiato, si era preparata a dovere, ma si sarebbe sentita più tranquilla se avesse avuto almeno un’idea di quello che l’aspettava.
Insolitamente silenziosa, trascorse il viaggio di trasferimento immersa nei propri pensieri. Che senso aveva tenere una esercitazione lontano dall’Accademia? La scuola non vantava forse i migliori laboratori della Flotta Stellare? E perché tenere segreta la loro destinazione? Inutile farsi domande, raramente quello che decidevano gli Istruttori sembrava avere senso. La ragazza controllò per l’ennesima volta il suo kit di sopravvivenza abilmente nascosto nelle ampie pieghe della divisa da esercitazione: trovare ogni cosa al suo posto aveva il potere di tranquillizzarla.
La cosa che più la preoccupò fu che, in fondo, non sembrava esserci nulla di cui preoccuparsi: vennero sbarcati in un ampio deposito di rottami, divisi in squadre, dotati di un set di strumenti tecnici di base e di razioni di cibo e debitamente istruiti da Vinsar in persona. Scopo dell’esercitazione: costruire entro il tramonto un transbabulatore quantico subspaziale, procurandosi i pezzi necessari all’interno del deposito stesso. 'Un dispositivo complesso, d’accordo,' pensò Ysaahi, tentando di richiamare alla memoria gli schemi tecnici del congegno, 'ma con un po’ di attenzione la cosa non è impossibile.'
Si avviò con insperato ottimismo al punto di raccolta della sua squadra, la numero 17, dove trovò ad attenderla i suoi compagni di avventura. Si presentò, cercando di trasmettere positività ed energia: «Ciao ragazzi, mi chiamo Ysaahi.»
«Sono Tarf» grufolò un tellarite di stazza notevole.
«Grahan» gli fece eco un andoriano dall’aria torva.
«Sheeba Kitekat» miagolò una avvenente caitiana dal pelo fulvo.
La denobulana sfoggiò uno dei suoi più smaglianti sorrisi. «E’ un piacere. Sono contenta di essere in squadra con voi…»
«Chissà poi perché» bofonchiò il tellarite.
«Bah!» commentò l’andoriano.
«Se lo dici tu…» aggiunse la caitiana, stringendosi nelle spalle.
L’ottimismo di Ysaahi vacillò. «Beh, meglio voi che Wil Scarl…» tentò di ribattere per sdrammatizzare ma il tellarite la interruppe bruscamente.
«Silenzio, sei matta?»
«Non pronunciare quel nome!»
«L’ultimo che l’ha fatto durante una esercitazione è saltato in aria con il suo congegno!»
«Scusate,» mormorò la denobulana, mortificata. Non aveva mai capito bene quale effetto devastante fosse collegato al nome dello sfortunato compagno di corso, il cadetto Scarlett detto ‘Sfigat’ ma, di solito, citarlo provocava allegria e ilarità. I suoi compagni di squadra sembravano pensarla diversamente. Tentò di cambiare discorso: «Ma non dovevamo essere in cinque?»
La caitiana la gelò con lo sguardo: «Complimenti, almeno sai contare…»
Ysaahi stava per risponderle per le rime quando una voce alle sue spalle la fece sobbalzare.
«Hola, amigos. Esta aquì la equipo diecisiete?»
Quattro paia di occhi si voltarono verso il nuovo arrivato, un umano grassoccio dall’aria trasandata e il viso sorridente. «E tu saresti?» chiesero i quattro all’unisono.
«El mio nome es Pedro, Pedro Ramirez!»
«Sei in ritardo» lo redarguì la caitiana, squadrandolo da capo a piedi. Pedro le sorrise. «Me capita siempre, senorita.»
«Il mio nome è Sheeba.»
«Me capita siempre, senorita Sheeba.»
«Adesso lo uccide» mormorò l’andoriano dietro la spalla destra di Ysaahi.
«E poi lo usa come grattatoio» rincarò il tellarite dalla parte sinistra.
Ysaahi temette il peggio ma la caitiana sembrava troppo impegnata a decidere che trattamento riservare al ragazzo per prestare attenzione ai commenti dei compagni di squadra.
«Bene» esclamò la denobulana ad alta voce, cercando di richiamare l’attenzione sul motivo della loro permanenza nel deposito, «ora che ci siamo presentati, che ne dite di cominciare a darci da fare per costruire il nostro transbabulatore? Dovremmo cominciare con una ricerca per determinare i pezzi necessari per costruirlo.»
«Un momento,» esclamò la caitiana, distogliendo la sua attenzione dal povero Pedro, «chi ti dà il diritto di andare in giro a dare ordini?»
Ysaahi rimase interdetta. Possibile che non potesse dire una parola senza scatenare gli astiosi commenti della compagna di squadra? «Non sto dando ordini, sto solo proponendo il primo passo da fare. Una ricerca dei componenti necessari mi sembra un buon punto di partenza.»
«Per te forse, ma io so esattamente quali sono i componenti di un transbabulatore.» Digitò rapidamente qualcosa sul suo padd. «Ecco la lista, ora bisogna darsi da fare per trovarli e assemblarli. Dividiamoci, e cerchiamo di fare in fretta.»
Le antenne dell’andoriano fremettero di sdegno. «Non così in fretta, non abbiamo ancora deciso chi è che comanda.»
«E io non prendo ordini da una femmina» rincarò il tellarite.
Sheeba non si scompose. «Qualcuno di voi sa distinguere un accoppiatore quantico lineare da uno stocastico?» chiese, squadrandoli con i suoi inquietanti occhi gialli. Ysaahi avrebbe voluto dire che sì, lei lo sapeva perfettamente, ma si trattenne. Tarf e Grahan non si mossero per qualche secondo poi abbassarono lo sguardo.
«Mi sembra che non ci siano dubbi» commentò Sheeba con un ghigno. «Ho trasmesso una lista di componenti ai vostri padd. Dividetevi e cercate di trovare velocemente quante più cose possibile. Faremo base nei pressi di quella carcassa laggiù: è una vecchia navetta ma mi sembra solida e in posizione defilata. Ci sono domande?»
«Una!» disse Pedro, emergendo dalle seconde linee. «Cuál es la hora del pranzos?»
Ysaahi lo afferrò per un braccio e lo trascinò lontano prima che una zampata della caitiana gli staccasse la testa.
La caccia ai componenti si rivelò subito difficile e faticosa, ma mai quanto il tentativo di Ysaahi di evitare il tracollo degli eventi. Con in squadra un irascibile andoriano, un tellarite litigioso e una caitiana dalla lingua affilata, la situazione poteva degenerare in ogni momento: Sheeba, in particolare, sembrava esistere solo per creare problemi e far sentire il prossimo una nullità, cosa che Ysaahi detestava cordialmente. In altre occasioni, non ci avrebbe pensato due volte a mettere in riga la gattina ma questa volta, la posta in gioco era veramente troppo alta: doveva fare una bella figura, anzi una splendida figura, e per riuscirci aveva bisogno dell’appoggio di tutta la squadra. Sheeba, poi, era effettivamente preparatissima: sua era stata l’idea di cercare componenti datati per l’amplificatore di flusso, perché maggiormente permeati del segnale che dovevano amplificare. A questo Ysaahi non aveva proprio pensato. Anche Tarf e Grahan avevano dimostrato di avere dei numeri, pur non essendo l’ingegneria il loro campo: persino Pedro, che sembrava prendere la cosa come un enorme gioco, aveva stupito tutti con un paio di geniali trovate.
'Bisogna ammetterlo,' valutò Ysaahi con una certa soddisfazione, 'siamo proprio una bella squadra. Adesso dobbiamo solo riuscire a non scannarci a vicenda.'
In quella prima fase di ricerca, cercò di manovrare gli eventi in modo che i suoi compagni venissero a contatto il meno possibile: suggerì di sparpagliarsi singolarmente per ottimizzare l’area di ricerca, si prese l’incarico di fare da punto di riferimento fisso al campo base, allontanando con un pretesto un compagno non appena vedeva un altro palesarsi all’orizzonte, organizzò le prime attività in modo che ognuno lavorasse da solo.
«Divide et impera» mormorò guardando Tarf e Sheeba mancarsi per pochi secondi, pur non proprio convinta che questo fosse il contesto giusto per quella frase: comunque, se i suoi compagni non avevano l’occasione di parlarsi, era difficile che qualcuno potesse dire una parola di troppo.
I pezzi del transbabulatore andavano accumulandosi nell’area destinata al magazzino e Ysaahi cominciò a pensare che la tregua non poteva durare ancora a lungo. Il suo piano era buono ma prima o poi avrebbero dovuto cominciare a montarlo, questo macchinario, e allora sarebbe successo l’irreparabile. Occorreva un diversivo, qualcosa che tenesse occupati i compagni, qualcosa che li unisse e che dirigesse il loro istinto distruttivo verso l’esterno. Ma cosa?
Guardò il magazzino, faticosamente ricavato da uno dei vani più defilati, ed improvvisamente i suoi occhi brillarono per l’emozione. Un furto! Che grande idea! Se avesse fatto sparire qualcosa e avesse lasciato credere che qualcuno si fosse intrufolato per derubarli, forse i suoi compagni avrebbero smesso di battibeccare e avrebbero fatto fronte compatto contro il nemico¹. Forse poteva anche darsi una botta in testa per rendere più credibile la messa in scena.
'No, non esageriamo' pensò, scegliendo il pezzo migliore da far sparire, un piccolo orologio atomico, appariscente ma facile da sostituire. 'Tarf è un aspirante medico, potrebbe scoprirmi con facilità. Sarà più semplice lasciare aperto questo oblò: sembrerà che qualcuno sia entrato mentre io ero impegnata all’esterno della nave. Certo ci farò la figura della stupida' aggiunse, storcendo il naso, 'ma se questo è il prezzo da pagare per non consegnare cadaveri invece che macchinari sarò contenta di pagarlo.'
Fu quindi con il sorriso sulle labbra che si attardò all’esterno della carcassa mentre gli altri rientravano portando gli ultimi componenti.
«E’ un vero miracolo se riusciremo a far funzionare qualcosa,» stava dicendo Sheeba, «metà della roba che avete preso dovrebbe essere rottamata.»
«Se si trova in una discarica un motivo ci sarà» ribatté Tarf, dilatando le narici in modo preoccupante.
«Ma visto che sei così in gamba non avrai problemi ad assemblare il dispositivo» aggiunse Grahan senza nascondere un pesante sarcasmo.
«Non certo grazie al vostro contributo. Se solo avessi potuto scegliere una squadra meno incapace.»
«Por qué habla en tales modo, senorita? Me pare que todos…»
Le voci si persero all’interno della carcassa. Ysaahi cominciò il conto alla rovescia: «Tre… Due… Uno…»
«AAAARRRRGGGHHHH!» L’aria fu squarciata da un terribile urlo: quattro voci in quattro lingue diverse espressero tutto il loro sgomento di fronte al vile misfatto.
Ysaahi sorrise tra sé, soddisfatta, poi prese un profondo respiro e si buttò all’interno. I quattro compagni stavano uscendo dal magazzino, guardandosi increduli e sostenendosi a vicenda.
«Che succede?» chiese Ysaahi, cercando di mettere nelle sue parole una preoccupazione che non provava. «Qualcuno si è fatto male?»
«Inaudito!»
«Imposible!»
«Inconcepibile!»
«Inaccettabile!»
Ysaahi gongolava nel vedere l’effetto della sua brillante trovata ma riuscì dissimulare la sua soddisfazione. «Non tenetemi sulla corda, cosa è successo!»
«Siamo stati derubati!»
«Rapinati!»
«Qualcuno si è intrufolato nel magazzino!»
«Como un ladròn en la noche!»
Ysaahi era preparata: spalancò gli occhi portandosi le mani alle guance. «Per tutte le divinità, che guaio! E adesso?»
«Adesso ci mettiamo sulle sue tracce…»
«Lo staniamo dal suo nascondiglio…»
«E quando lo troviamo lo pestiamo a dovere finché non ci restituisce il maltolto…»
«E poi lo matiamo ne la plaza.»
La denobulana li guardò, perplessa di fronte a quella reazione spropositata. Le venne il dubbio di aver esagerato.
«Andiamo, ragazzi, non può essere così grave,» disse, cercando di buttare acqua sul fuoco. «Non dobbiamo esagerare.»
Sheeba trattenne un attimo il respiro cercando di riprendere il controllo, poi esplose: «Ma come fai a parlare così? Ci hanno rubato il collettore di flusso!»
«Oh, beh, andiamo, se ci hanno rubato solo…» cominciò, ma le parole le rimasero a metà. «Come sarebbe a dire che ci hanno rubato il collettore di flusso?»
«Il collettore non c’è, è sparito. E con lui anche il discriminatore di fase e il rilevatore di campo. Oh, sì, manca anche l’orologio atomico, ma quello è roba da poco, si trova anche nelle confezioni di biscotti.»
Ysaahi fissava attonita la porta del magazzino: «Ci hanno rubato il collettore di flusso…» ripeté, come se il suono delle parole potesse rendere più credibile l’accaduto. «Ma non è possibile. Come hanno potuto? E’ contrario a qualsiasi etica…»
Un rumore sordo proveniente dal piazzale interruppe le sue argomentazioni.
«E ora che succede?» si chiese mentre, insieme agli altri, si proiettava verso l’esterno. Non fecero a tempo a mettere la testa fuori che furono bersagliati con piccoli oggetti di ogni tipo. Tarf, preso alla sprovvista, mise il piede in un secchio abbandonato davanti all’uscita e cadde a terra. Grahan tentò di mettersi al riparo ma fu atterrato da una corda che comparve improvvisamente all’altezza del suo petto. Sheeba, grazie alla sua agilità riuscì ad evitare alcune rozze trappole e a ripararsi dietro il rottame di un grosso motore. Ysaahi, l’ultima ad uscire, fu colpita in pieno da un pesante involucro e si ritrovò seduta per terra, troppo stupita per reagire in qualunque modo. Il dolore allo stomaco la riportò velocemente alla realtà: «Tutti al riparo, ci attaccano!» gridò con il poco fiato che ancora le rimaneva.
«Adelante Pedro» gridò una voce sopra di lei. Il ragazzo, raggiunto non si sa come un portello al piano superiore della carcassa, stava restituendo al nemico pan per focaccia, bersagliandolo con sacchetti di sabbia. Qualcuno di questi andò a segno facendo cadere a terra un paio di assedianti.
Improvvisamente come era iniziato, tutto il trambusto finì. Ancora doloranti, i quattro si raggrupparono davanti alla porta mentre Pedro controllava la situazione dall’alto.
«Ma che succede, sono tutti impazziti?»
«Credevo fosse una esercitazione di ingegneria, non di tattiche di guerriglia.»
«Alla faccia della correttezza tra cadetti.»
«Homo homini lupus« sentenziò Ysaahi, sistemandosi la divisa. «Mi chiedo cosa…» si bloccò, come folgorata da una triste premonizione, poi si gettò verso il magazzino. «I componenti!» gridò, ma era troppo tardi. Tutto quello che riuscì a vedere fu una testa bionda e due occhi azzurri dileguarsi oltre l’oblò ormai divelto, facendole ‘ciao ciao’ con la manina.
«Non ci posso credere, quello era A.J.»
«Un tuo amico, eh?»
«Magari il tuo fidanzato…»
«Si è preso tutti i componenti trasmissivi e anche il modulatore interfasico.»
«Maldito…»
«Era una manovra diversiva. Ci hanno distratti con un attacco frontale per rubarci i componenti arrivando dal retro.»
«Ci siamo fatti giocare come pivelli.»
«Come abbiamo fatto ad essere così ingenui?»
«O tempora, o mores!»
«Diventeremo la barzelletta dell’Accademia…»
«E adesso che facciamo?»
Ysaahi non sapeva più cosa dire. Avrebbe voluto mollare tutto, ritirarsi dalla competizione e seppellirsi nell’angolo più remoto dell’Accademia. 'Sic transeat gloria mundi' pensò guardando i suoi compagni: erano stanchi, abbacchiati, gli occhi spenti, le spalle curve. Se ne stavano seduti per terra, come svuotati di ogni energia. Nessuno aveva più voglia di fare battute taglienti o commenti sarcastici, nessuno aveva più la forza di reagire. Davanti a quello spettacolo, la giovane denobulana si riscosse: forse non tutto il male viene per nuocere.
«Ragazzi, coraggio» disse con enfasi, alzandosi in piedi. «Ci hanno presi di sorpresa, e allora? Gli altri ci daranno dei pivelli, ma io dico che siamo una squadra. E una squadra di cinque uomini che riconoscano i propri errori è sicuramente più forte di dieci studenti saputelli. Questo mi hanno insegnato i primi mesi di Accademia. Non vi farò promesse, tranne una: se nel profondo dei vostri cuori voi sentite di essere una vera squadra, allora possiamo farcela.»
«Ma ci hanno rubato tutti gli schemi tecnici!» obiettò Tarf.
«Che importa? Anche ad uno come Pedro possiamo insegnare a costruire un transbabulatore.»
«Non sappiamo più dove trovare il materiale!» si lagnò Grahan.
«Di cosa abbiamo bisogno che questa vecchia nave non possa darci? Abbiamo strumenti, pannelli per difenderci, troveremo riparo e conforto all’interno del suo scafo.»
«Ma gli altri ci hanno preso tutto quello che avevamo!» piagnucolò Sheeba
Ysaahi fece scorrere lo sguardo sui quattro di fronte a lei. «E allora, in nome di Dio, ce lo riprenderemo!»
- E mentre partono a tutto volume le note dell’addestramento nella foresta, Ysaahi e la sua squadra, con rinnovato entusasmo, cominciano ad organizzarsi per…
- Psst, Capo, mi sembra che tu stia sbagliando contesto. Questo è il ‘discorso dell’albero’ di ‘Robin Hood - Principe dei ladri’: possibile che ci ricadi ogni volta?
- Ehm, già, è vero. Che ci posso fare, è più forte di me. Dai, riavvolgiamo di un paio di sequenze e riproviamo.
«Ragazzi, coraggio» disse con enfasi, alzandosi in piedi. «Ci hanno presi di sorpresa, e allora? Siamo qui, siamo insieme e abbiamo tutto il tempo per rifarci. Vogliamo dar loro la soddisfazione di vederci umiliati, sconfitti, abbattuti? Certo che no! E’ il momento di rimanere uniti e di far vedere a tutti il nostro valore. Siete con me?» gridò con entusiasmo alzando il braccio al cielo.
L’andoriano la guardò con uno strano sorriso. «Questa onta va lavata, se non col sangue, almeno con una bella lezione. Conta su di me!»
«E su di me!» disse Tarf, alzandosi a sua volta. «Non sia mai detto che un tellarita rifiuti una sfida.»
«Eso es una locura» disse Pedro, ballonzolando, «ma estò in acuerdo con vosotros.»
Sheeba li guardò con espressione insondabile. «Anch’io ho un conto aperto con uno dei vigliacchi che ci hanno attaccato« disse, alzandosi lentamente. «Riconosco che insieme siamo una buona squadra. Sono con voi!»
«Magnifico!» esclamò Ysaahi, soddisfatta. «Allora uno per tutti?»
«E todos por uno!» gridò Pedro mettendo la sua mano su quella di lei.
Gli altri tre li guardarono senza capire ma si unirono a loro suggellando il loro patto.
Da quel momento, le cose cominciarono a girare per il verso giusto: i cinque lavorarono all’unisono per recuperare il tempo perduto. Si dedicarono alla grande carcassa di astronave facendone il loro centro operativo e un rifugio sicuro: sigillarono tutte le paratie ancora funzionanti, saldarono le crepe e bloccarono i portelli. L’entrata principale, l’unica realmente funzionante, venne sorvegliata a vista, in continuazione. Del piano superiore vennero lasciati accessibili soltanto un paio di vani, utilizzati come torri di guardia per le vedette. Vennero preparate scorte di gavettoni di sabbia e di acqua, nonché bulloni e piccola minuteria per il bombardamento a tappeto. Pedro insistette per realizzare anche una piccola catapulta da utilizzare contro l’assalto di eventuali mezzi blindati: visto il successo che aveva avuto con i suoi gavettoni, nessuno osò opporsi a questa proposta. La vasta sala al centro fu adibita a laboratorio e utilizzata per l’assemblaggio del transbabulatore. Una rudimentale console fu rimessa in funzione e utilizzata come centrale di controllo: Sheeba e Ysaahi, da buoni aspiranti ingegneri, non ebbero difficoltà a riconfigurarla utilizzando i pezzi disponibili nella discarica. In breve poterono disporre di un sensore di calore e un rilevatore di prossimità: nemmeno una arvicola avrebbe potuto avvicinarsi senza essere avvistata.
Ma il vero colpo di genio fu l’operazione ‘specchietto per le allodole’: i dintorni della ‘Base 17’, come venne pomposamente chiamata la vecchia carcassa, furono disseminati di semplici trappole: fili collegati a scatolame rumoroso, buche mimetizzate, piccoli lacci, tutte cose inutili vista la potenza della centrale di controllo ma che, una volta scoperte, avrebbero indotto gli assalitori a sentirsi al sicuro e ad abbassare la guardia, commettendo degli errori.
E non solo! I componenti recuperati dalle varie spedizioni furono accatastati nel solito magazzino, e poi spostati attraverso un passaggio nascosto in una seconda stanza dalla parte opposta della Base e sostituiti con oggetti di scarso valore. Eventuali spie avrebbero creduto che il materiale prezioso fosse custodito nel primo locale e avrebbero concentrato su quello i loro tentativi di furto. ²
Il tempo scarseggiava ma a pomeriggio inoltrato arrivò la comunicazione che Vinsar, in uno dei suoi non rari eccessi di bontà, aveva deciso di prolungare l’esercitazione fino al giorno successivo. La squadra di Ysaahi non cadde nell’errore di lasciare la Base sguarnita per procurarsi l’equipaggiamento da campo e le razioni supplementari. Tarf fu mandato a recuperare quanto più materiale possibile: fu attaccato durante il viaggio di ritorno ma si difese come un leone salvando tre sacchi a pelo e quasi tutte le razioni. Ysaahi, che come denobulana poteva permettersi di dormire pochissimo, si offrì di fare doppi turni di guardia permettendo ai compagni di recuperare le forze.
A tarda sera fecero il punto della situazione: avevano deciso di giocare sulla difensiva, dedicandosi alla ricerca dei pezzi, accumulandone anche più di uno in modo da sottrarli alle altre squadre, piuttosto che sprecare tempo ed energie tentando di rubarli: purtroppo, per il modulatore interfasico non c’era stato niente da fare. Avevano rivoltato il deposito come un calzino senza successo.
«Non ci resta che rubarlo» concluse Grahan, con un ghigno.
Tarf annuì: «E sappiamo anche chi ne ha uno…»
«Quel vigliacco di A.J….»
«Esos codarde di Ivan…»
«Quel mieewww di Viskas…»
«Ehi, non dirmi che tu e Viskas…»
«Non farmici pensare!»
«Bene, allora è deciso!»
«Andiamo a riprenderci quello che è nostro.»
«Mi raccomando,» si raccomandò Ysaahi. «Calma, dignità e classe! ³ Il fatto che ci abbiano proditoriamente assalito alle spalle approfittando della nostra fiducia, non ci autorizza a scendere al loro livello.»
«Certo che no, noi non ci limiteremo a bersagliarli con dei bulloni.»
«Li ridurremo in pezzi così piccoli che non basterà un microscopio elettronico per ritrovarli.»
«Gli apriamo l’elica del DNA…»
«Gli frantumiamo i nucleotidi…»
«Dovranno cercare i loro atomi uno per uno…»
«Ma non direte mica sul serio!» gridò Ysaahi, inorridita.
Ci fu un momento di preoccupante silenzio poi i quattro scoppiarono a ridere. «Seguro che no, chica!» esclamò Pedro, dandole una pacca sulla schiena che per poco non la ribaltò, «ma es muy divertente ver tua expresion!»
Mente Pedro canticchiava «Vamos a matar, companeros!», il gruppo si mise al lavoro per preparare un piano di azione.
Il blitz riuscì in maniera quasi perfetta: quando il nemico si accorse della sparizione del modulatore interfasico, la squadra 17 stava già festeggiando la vittoria al sicuro nel proprio rifugio. La doccia fredda, però, era in agguato.
«Ragazzi, questo coso non funziona.»
Nella stanza cadde un silenzio di tomba.
«Cosa vuoi dire?» chiese Sheeba, prendendolo in mano per verificare. «Ho verificato io stessa che si accendesse e che tutti i componenti fossero al loro posto.»
«Si accende e i componenti ci sono tutti ma chiede un codice di accesso.»
«Lo hanno protetto con una password!»
«Maledetti, lo dicevo che bisognava vaporizzarli.»
«Feccia era, e feccia rimane.»
«Mierda. Ahora qué famos?»
«Nessuna possibilità di decodificare la password?»
Sheeba ed Ysaahi si guardarono. «Non con questa attrezzatura« disse la prima, «ci vorrebbe troppo tempo.»
«Tempus fugit» confermò mestamente Ysaahi.
Grahan si agitò irrequieto. «Non ci rimane che assalire un’altra squadra ma dobbiamo essere sicuri che siano in possesso del componente.»
Anche Tarf sembrava incapace di stare fermo: «Mandiamo delle spie!»
«Desmenuzioamos todos!»
«Un momento,» li zittì la denobulana, «forse ho un’idea. Qualcuno mi passa un padd?»
Qualche minuto più tardi stava chattando con l’amico A.J. su un canale protetto. Non era sicura che il ragazzo avesse il dispositivo acceso ma era certa che le avrebbe risposto non appena avesse letto il suo messaggio.
« ’Parliamo di Pamela’ ? » chiese Tarf, sbirciando da dietro la spalla di lei. «Strano modo di iniziare la conversazione…»
«Me encontré una Pamela in California, dos annos adietros» disse Pedro con aria sognante.
«L’importante è che l’abbia incontrata A.J.» commentò Ysaahi con un ghigno satanico. «Chissà come la prenderebbe Janet Fawley se venisse a saperlo.»
«Me tambien encontré una Janet in Texas, tres annos adietros.»
«Ero certa che quelle fotografie mi sarebbero tornate utili: quella microcamera è stato uno dei miei migliori investimenti.»
«Fammi capire,» la interruppe Sheeba sedendosi accanto a lei, «Stai dicendo che hai delle foto compromettenti del tuo amico e che ora lo stai ricattando?»
«Io non la metterei in questi termini« precisò la denobulana, senza scomporsi, «diciamo che gli sto offrendo la possibilità di poter rivolgere ancora la parola alla sua cara Janet in cambio di una piccola contropartita!«
«Il codice di attivazione del dispositivo!»
«Geniale!»
«Meravilloso!»
«Vile ma efficace!»
«Zitti, ecco la risposta» esclamò Ysaahi, impaziente. Sul monitor comparvero solo poche parole. «Si! Può! Fare!» ³ lesse ad alta voce.
Sul gruppo calò nuovamente il silenzio.
«Si può fare? Ma che razza di risposta è?»
«O sì o no. Che vuol dire: si può fare?»
«Insomma, si fa o no si fa?»
«Il nino es muy loco!»
Mentre intorno a lei scoppiava il finimondo, Ysaahi fissò lo schermo esterrefatta. Era semplicemente impossibile che dopo tutto quello che A.J. aveva fatto per ottenere l’attenzione di Janet, ora fosse disposto a rinunciarci per una stupida esercitazione di ingegneria, lui che non voleva neppure fare l’ingegnere! L’incontro con Pamela era stato assolutamente casuale, ne era certa, quindi non poteva esserci nessuna ragione per la quale…
Si fermò fissando lo schermo con maggiore attenzione. «Un momento,« disse richiamando l’attenzione dei compagni, «non avete notato i punti esclamativi?»
I quattro la guardarono senza capire.
«Non è una frase, sono tre parole staccate.»
«E il codice di accesso è formato da tre parti» le fece eco Sheeba. «ll punto esclamativo potrebbe essere un invio.»
«E le lettere dovrebbero trasformarsi in numeri. Dunque S-I diventa 19-9 e via così. Prova questo codice: 199, invio, 162115, invio, 61185, invio.»
«Speriamo bene, non dovremmo avere più di tre tentativi.» Con zampe tremanti, Sheeba digitò la sequenza sulla tastiera del modulatore interfasico che lampeggiò un po’, fece un paio di strani ronzii, poi si accese definitivamente.
«E’ vivo! E’ vivo!» ³ gridarono le due ragazze, incapaci di trattenersi.
«Si dice ‘funziona’» le prese in giro Grahan, evidentemente sollevato. Tarf e Pedro ‘poggarono’ tra loro per la contentezza. Il transbabulatore poteva essere finalmente completato.
Durante il resto della notte, nessuno riuscì a dormire veramente. Vegliarono il loro dispositivo come se fosse la cosa più preziosa del mondo, chiudendo gli occhi a turno per poche manciate di minuti. All’alba, erano già tutti al lavoro per assemblare il dispositivo. Ysaahi e Sheeba diressero le operazioni, maneggiando i componenti con grande dimestichezza. Gli altri si tennero un po’ in disparte, ben sapendo che, in quell’ultima fase, rischiavano di essere solo di impiccio. Si diedero il cambio nei turni di guardia alla stazione di controllo e all’entrata principale, ma ormai gli animi si erano calmati. Ci fu un ridicolo tentativo di intrusione, respinto senza colpo ferire, mentre una giovane boliano venne a chiedere con cortesia un paio di pezzi che la sua squadra non riusciva a trovare.
Quando suonò la sirena che metteva fine all’esercitazione, il transbabulatore quantico subspaziale della Squadra 17 era pronto, assemblato, finito e funzionante, e fu con orgoglio che i cinque posarono per una foto ricordo davanti alla loro creatura.
Qualche giorno più tardi, Ysaahi irruppe nell’ufficio di Fandonius camminando a mezzo metro da terra.
«Veni, vidi, vici!» esclamò soddisfatta, consegnandogli una versione extra lusso della sua tesina con una gigantografia del TQS proprio sotto il titolo: in fondo alla pagina spiccava la firma di Vinsar e il massimo dei voti. Poi si girò e uscì, veloce come era entrata.
L’Istruttore fissò la porta, poi l’incartamento: «Omnia munda mundis» disse sorridendo.
Davanti a lui, sprofondata in una poltrona in un angolo nascosto, Joan Maxwell annuì, divertita.
Note
¹ Paletto 3: Dopo aver evitato lo scontro frontale tenendo occupati su fronti diversi i suoi litigiosi compagni, questa è l’idea di Ysaahi per risolvere i problemi con Sheeba e gli altri in modo diplomatico, o comunque senza venire alle mani
² Paletto 1: Queste sono alcune delle precauzioni di Ysaahi e la sua squadra per evitare il furto dei pezzi ma tutto il round è incentrato sulla battaglia per l’accaparramento
³ Paletto 2: Le frasi obbligatorie