Cadetto YSAAHI

matricola numero 17

STIC Academy New Adventures
è un gioco di ruolo dello STIC Star Trek Italian Club




LICENZA DI EVADERE


Lassi Thorsen fece una cosa che non gli era abituale da quando aveva iniziato la sua fruttuosa ed onorata carriera di spia: tirò un sospiro di sollievo. Non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura ma quando il dispositivo non aveva funzionato, si era sentito perduto: il suo gioco era stato scoperto, non sarebbe riuscito ad uscire incolume dall'Accademia portando con sé i dati trafugati dal computer centrale. Quel ridicolo tentativo di fuga prendendo la ragazza come ostaggio era stato solo il frutto dell'incredulità e della frustrazione: aveva agito più per abitudine che per convinzione, la sua mente era altrove, impegnata ad analizzare i motivi del suo fallimento.

Come era potuto succedere?

Quando aveva afferrato la ragazza si era assicurato che il meccanismo fosse attivo, e quando lo aveva azionato era certo che fosse a contatto con la pelle di lei, eppure qualcosa non aveva funzionato: lo scambio dei corpi non c'era stato e lui si era trovato davanti alle forze di sicurezza dell'Accademia senza nessuna possibilità di scampo. Era stato ammanettato e trascinato nella piazza principale sotto gli occhi increduli dei giornalisti e della troupe.

E poi, quando ogni speranza sembrava ormai perduta, ecco accadere l'imprevedibile: un capogiro, la vista annebbiata per un attimo e poi il mondo visto da una nuova prospettiva, quella di una giovane cadetta denobulana, innocente, insospettabile e totalmente libera di muoversi. Con questo nuovo corpo sarebbe stato uno scherzo allontanarsi dall'Accademia e consegnare i dati rubati senza destare sospetti; qualche buon avvocato si sarebbe poi preoccupato di far uscire di prigione il suo corpo, o di farlo evadere nel peggiore dei casi, e una salda stretta di mano con la sua controparte avrebbe rimesso ogni cosa al suo posto.

Sorrise al pensiero di quella scena: miniaturizzare la tecnologia di Camus II in un elegante anello era stata un'idea a dir poco geniale. Strinse il pugno per accarezzare il prezioso meccanismo e rimase pietrificato nel sentire la mano spoglia di ogni ornamento. Dove diavolo era finito? Lo vide nello stesso momento, laggiù, in mezzo alla piazza: ancora al dito del suo corpo, l'anello mandava bagliori inquietanti.

Maledizione, l'aveva dimenticato. Non se ne era impossessato immediatamente, convinto che il meccanismo non avesse funzionato, e ora che lo scambio aveva finalmente avuto luogo era troppo lontano dal suo vero corpo per poterlo recuperare. Ritornare se stesso sarebbe stato meno facile del previsto.

'Pazienza' pensò Thorsen, guardando con un sorriso malevolo il suo alter ego che veniva portato via in manette, 'per questo ci sarà tempo: adesso ci sono cose più importanti a cui pensare.'

Ysaahi impiegò non poco per capire quello che doveva essere successo, e ci mise ancora di più per accettarlo: un attimo prima era ai margini del piazzale, al fianco del fedele A.J., a commentare gli eventi della giornata, l'attimo dopo era in mezzo alla piazza, con le mani legate, scortata da un gruppo di guardie armate. Ma la cosa che più la lasciò senza fiato fu la prospettiva e la percezione del proprio corpo: non aveva mai guardato il mondo da così in alto e non aveva mai avuto la sensazione di occupare tanto spazio e di essere così pesante. Ma cosa stava succedendo? Si guardò in giro, alla disperata ricerca di un indizio o di un volto amico e si vide: lei, se stessa, come allo specchio, dall'altra parte della piazza. Incrociò i suoi stessi occhi e in quello sguardo malevolo riconobbe Thorsen, la spia che aveva smascherato solo pochi minuti prima. Capì immediatamente cosa dovesse essere successo, prima ancora di portare nuovamente lo sguardo sulla sua persona e riconoscere la camicia e i pantaloni che l'uomo indossava al momento della cattura. Non aveva idea del *come* ma *cosa* fosse successo era palese: era nel corpo di Thorsen, 'Un corpo niente male' valutò, ripensando al fisico atletico e all'elegante portamento di quello che era stato uno degli attori principali del nuovo film di 00Z, 'ma starei meglio nel mio!'

«Mi scusi» aggiunse con voce flautata, rivolta ad una delle guardie, «credo ci sia un problema. Io non sono quello che sembro: sono un cadetto della Flotta Stellare… »

«Certo che c'è un problema, Thorsen» la interruppe la guardia, scoppiando in una sonora risata, «chi credi di prendere in giro con questi modi da femminuccia? Anche se non conoscevamo il suo aspetto, sapevamo che una spia stava tentando di infiltrarsi all'interno dell'Accademia. Chi avrebbe mai immaginato che fossi proprio tu?»

«Ma voi non capite, lui ha preso il mio posto, è nel mio corpo e può andare dove vuole…»

«Mentre tu finirai dritto al fresco. Accidenti, Sherman deve averti strapazzato per benino, se sei ridotto con il quoziente intellettivo di un'ameba.»

«Se c'è un'ameba qui intorno quella sei tu, razza di platelminta mononeuronato» esplose la denobulana che, dopo lo stress della giornata, aveva esaurito quanto rimaneva della sua già limitata dose di pazienza. «Non sai nemmeno distinguere un Cadetto quando ne vedi uno? Ma già, voialtri della sicurezza siete buoni solo a sparare, non importa quale sia il bersaglio. E' palese che io non sia una spia, e come potrei esserlo? Passo il mio tempo tra lezioni ed esami, esercitazioni e palestra, studio e verifiche. Chi ha il tempo di fare la spia? Certo, se dovessi scegliere, preferirei fare la spia piuttosto che il terrorista: è più elegante e meno pericoloso. Penso di avere anche lo charme adatto, non per niente mi hanno scelta per quest'ultimo film di 00Z. Purtroppo siamo già alla fine delle riprese ma sono sicura…»

«Silenzio!» esplose la guardia alla sua sinistra, mentre quella a destra era già fuori combattimento in preda ad un terribile mal di testa. «Non voglio più sentire una sola parola o sarò costretto a chiuderti la bocca.»

Con la coda dell'occhio, Ysaahi vide se stessa girarle le spalle e allontanarsi verso gli edifici dell'Accademia. «Ma è tutto vero, lui ha preso il mio corpo, dovete fermarlo, lui…»

Una colpo di faser regolato su minimo stordimento mise fine alle sue esternazioni mandandola direttamente nel mondo dei sogni.

Si risvegliò in una stanza per interrogatori, poi in infermeria e infine nell'ufficio di qualche pezzo grosso; ogni volta cercò di spiegare la propria situazione ed ogni volta venne messa a tacere da una scarica di faser. Era chiaro che questo Thorsen era considerato un elemento pericoloso: le guardie non usavano mezzi termini quando si trattava di metterlo a tacere. Ysaahi capì velocemente che la verità non l'avrebbe portata da nessuna parte: nessuno era disposto a credere allo scambio dei corpi ed insistere su questa strada non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Facendo violenza alla sua natura, decise di prendere tempo, costringendosi a mantenere un atteggiamento tranquillo e remissivo: se avessero smesso di ritenerla un elemento pericoloso, forse avrebbero allentato la sorveglianza o le avrebbero fornito qualche informazione preziosa. Si rifiutò di rispondere a qualsiasi domanda e lasciò che la chiudessero in cella senza opporre resistenza. Doveva avere pazienza, doveva aspettare… ma il pensiero di quell'uomo libero di muoversi nel suo corpo continuava a scatenare in lei istinti omicidi.

Qualche giorno più tardi, nell'area ricreativa dell'Accademia, A.J. stava leggendo le ultime notizie.

«Hai visto? Sembra che il tuo amico sia stato trasferito nel carcere del Quartier Generale.»

Seduta di fronte a lui, la sua amica Ysaahi si riscosse dai suoi pensieri.

«Interessante» disse, con uno strano luccichio negli occhi. «Posso vedere, per favore?»

Lui la guardò come se la vedesse per la prima volta, poi scoppiò a ridere. «Ysaahi, decisamente non sei te stessa.»

La ragazza rantolò come se le avessero tolto l'aria. «Come dici, scusa?» chiese con voce strozzata.

«Per favore? Scusa? Sono parole che non hai mai usato. Di solito mi strappi le cose di mano ed è già un miracolo se me le restituisci. Si vede che non ti sei ancora ripresa del tutto dalla brutta avventura.»

Ysaahi si strinse nelle spalle. «Probabilmente hai ragione, stavo giusto pensando di chiedere un periodo di licenza, sai, per staccare un po'…»

«Una cosa è certa: non troverai il buon Lassi sulla tua strada per un bel po' di tempo. Leggi, leggi» la esortò, indicando il padd. «Sembra che su di lui pendano talmente tante accuse che ci vorranno settimane per formalizzarle tutte. Altro che processo lampo. Hai tutto il tempo per prenderti una licenza, andarti a riposare sul tuo pianeta e tornare in tempo per testimoniare.»

Gli occhi della denubulana brillarono di una luce sinistra. «Sai che ti dico, A.J.? E' proprio una bella idea. Vuoi scusarmi? Credo che andrò ad inoltre subito la richiesta.»

Convinto di aver fatto una proposta brillante, il ragazzo si premiò con una seconda razione di gelato crema, vaniglia e nocciola.

Nella sua cella, sdraiata sulla cuccetta, le braccia incrociate dietro la nuca, Ysaahi fissava il soffitto, tentando di elaborare un piano d'azione. Da quando l'avevano trasferita nel braccio dei criminali politici, poteva disporre di una cella singola e di un po' di tranquillità. I detenuti erano per la maggior parte spie di alto livello o uomini di potere corrotti, non meno colpevoli di altri ma almeno curati nell'aspetto e, soprattutto, apparentemente non violenti: un paradiso, dopo le celle collettive in cui aveva passato le prime ore. Con alcuni aveva quasi fatto amicizia: Cicchetto, un portaborse che l'alcool e le donne avevano rovinato; o Zio Tibia, un vecchio filibustiere in cella da talmente tanti anni che lui stesso aveva dimenticato il motivo della condanna; ed Helga, ex-ufficiale della sicurezza sorpreso a passare informazioni top secret al nemico. A dire la verità, con Helga le cose erano andate diversamente: un gesto di amicizia era stato scambiato dalla donna come un chiaro interesse di tipo… ehm, affettivo, e da quel momento Helga non aveva perso occasione di far capire a Ysaahi quanto lei, o meglio, il corpo che occupava, la interessasse.

A parte questo piccolo fraintendimento, la vita procedeva tranquilla nel braccio numero nove. ‘Troppo tranquilla’ pensò Ysaahi, sentendo gli altri detenuti chiacchierare amabilmente con un nuovo arrivato.

«Ehi, Lassi» la chiamò Cicchetto dalla cella accanto, «com'è che hai apostrofato 'Il Duca' quella volta, in mensa? Noioso filogamo?»

«Monogamo pessimista ¹» lo corresse Ysaahi, avvicinandosi al campo di forza per guardare all'esterno. «E' un insulto comune tra i denobulani.»

Cicchetto ridacchiò. «Avresti dovuto vedere la faccia del Duca. E' rimasto di sale, non sapeva cosa replicare. Come tutti noi, del resto. Abbiamo avuto bisogno della 'Guida Galattica per Viaggiatori Federali' per capire che significato potesse avere quella frase.»

‘Ignoranti!’ pensò Ysaahi ma, in fondo, aveva di che ringraziare la sua buona stella. Grazie a quell'uscita aveva raggiunto il duplice risultato di bloccare sul nascere un pericoloso battibecco e di attirarsi la simpatia degli altri detenuti: il Duca non godeva di grande popolarità e averlo lasciato senza parole le aveva fatto guadagnare punti. Persino le guardie si erano messe a trattarla con maggiore rispetto. Certo, la sua linguaccia le aveva procurato un piatto di salsa Yamok sulla testa ma la cosa l'aveva quasi divertita quando si era resa conto che quelli devastati dalla salsa non erano i suoi bellissimi capelli ma quelli molto meno lunghi e preziosi di Thorsen.

La verità è che Ysaahi si stava comportando da perfetta irresponsabile: era talmente impegnata a cercare una via d'uscita a ad elaborare terribili vendette contro l'uomo che l'aveva messa in quella condizione, che spesso si dimenticava di trovarsi in carcere, circondata da altri pericolosi criminali, con le sembianze di un umano grande e grosse che difficilmente avrebbe ispirato clemenza o pietà. Come se non riuscisse a credere a quel che le stava capitando, continuava ad agire come se si trovasse ancora in Accademia: gli altri detenuti erano i suoi compagni di corso, le guardie i suoi Istruttori. Poteva quasi sembrare che si fosse abituata a quella routine ma sotto una calma apparente il suo cervello lavorava febbrilmente.

La prima idea di fuga le venne al corso di scultura creativa, una delle attività del CRC, il Circolo Ricreativo Carcerario, dove si insegnava ai detenuti a creare sculture di sapone. Realizzare un faser con il sapone, colorarlo adeguatamente ed usarlo per minacciare una guardia le sembrò una trovata fantastica. Ma quando chiese a Zio Tibia come procurarsi del colore argento metallizzato, questi scoppiò in una risata talmente devastante che dovettero ricoverarlo in infermeria per una crisi respiratoria. Cicchetto le spiegò che il tentativo di evasione con la pistola di sapone era vecchio come il mondo, e che era sufficiente azionare l'impianto antincendio per smascherarlo: nessuno riusciva più ad evadere con quel sistema, sempre che qualcuno ci fosse mai riuscito nel passato. La seconda, la terza e la quarta idea per una evasione in grande stile fecero la fine della prima, direttamente nel cestino della spazzatura. Inutile, da sola non ce l'avrebbe mai fatta, doveva cambiare approccio: aveva bisogno di un aiuto dall'esterno. Doveva convincere qualcuno della propria innocenza ed indurlo ad aiutarla a fuggire. Ma chi poteva coinvolgere? Di chi avrebbe potuto fidarsi?

«Ehi, bell'uomo, cosa stai realizzando?» Era Helga, dalla cella di fronte. Ysaahi, che aveva imparato a rispondere a quell'appellativo, guardò la scultura di sapone che aveva tra le mani.

«Volevo scolpire un libro, un grosso volume con le pagine al vento, ma penso che dovrò ridimensionare i miei obiettivi.»

«Ma sono parole quelle che stai miniando?»

«Già, una poesia.» Ysaahi si schiarì la voce: «Tre cuori, un solo amore per sconfiggere il tempo. Tre rami, un solo albero per resistere al vento²

Nel braccio numero nove calò un silenzio di tomba, poi esplose l’entusiasmo. Applausi a scena aperta arrivarono da ogni parte: Zio Tibia batteva le mani senza ritegno implorando il bis mentre, nella cella vicina, Cicchetto piangeva come un vitello.

«Un poeta» sussurrò Helga, soffiandosi il naso con le lacrime agli occhi. «Che cosa romantica…»

Ysaahi si chiese cosa avesse fatto di male per meritare tutto questo.

All'Accademia della Flotta Stellare, Lassi Thorsen si pose più o meno la stessa domanda. Per non destare sospetti, aveva voluto tenere fede a tutti gli appuntamenti dell'agenda della giovane denobulana ma se ne era pentito amaramente: nel giro di pochi giorni era ridotto ad una larva umana. Andando avanti così, non avrebbe avuto bisogno di fingere un esaurimento per farsi concedere una licenza

Quella non era una ragazza, era un rullo compressore: ma come faceva a far stare tutte quelle attività nell’arco di una sola giornata? Lezioni ed esercitazioni erano nulla rispetto a tutto il resto: attività sportive, circoli ricreativi, associazioni, club, volontariato, e poi spettacoli, discoteca, pub e locali notturni. Ad intervalli regolari, estetista, parrucchiera e massaggi, e negli intervalli di tempo ‘shopping scelvaggio’, come amava definirlo. E che successo con i ragazzi: si prenotavano con settimane di anticipo solo per uscire con lei e non ce n’era uno che tornasse a casa senza lodare la sua affabilità e simpatia.

«Anni di onorato servizio e guarda come sono ridotto» pensò, mentre si agitava sulla pista dal ballo del Kilowattore, vestito con un completino minimalista che lo faceva sentire completamente nudo. Un aitante giovanotto gli si avvicinò e accennò a qualche passo di lambada. Thorsen sospirò alzando gli occhi al cielo: «Decisamente, sono troppo vecchio per queste cose.»

Sprofondato nella sua poltrona preferita, Arvan-tai Vinsar fissò l'oggetto sulla sua scrivania con sguardo torvo. Era arrivato quella mattina stessa in un pacchetto anonimo, direttamente dal carcere del Quartier Generale. I visti e i vari timbri dimostravano che non si trattava di uno scherzo e che la spedizione era stata autorizzata dal responsabile della sicurezza: un piccolo pensiero da parte del prigioniero Thorsen, per scusarsi del disturbo arrecato. 'Mi scuserei personalmente, se avesse la compiacenza di venirmi a trovare nell'orario di visita' recitava il biglietto allegato. Ma non era il biglietto ad attirare l'attenzione del Klingon, e nemmeno l'oggetto in se stesso, una piccola scultura di sapone raffigurante una pergamena con una intarsiata una breve poesia³. Era il titolo: 'A Ridge'. Due parole pesanti come macigni. Senza accorgersene, emise un sordo grugnito: come faceva quel delinquente a conoscere l'increscioso episodio?

Quel pomeriggio stesso, il comandante Vinsar chiese di poter vedere il prigioniero Thorsen.

«Ha voluto la mia attenzione» ringhiò, non appena l'uomo si sedette davanti a lui, nella sala riservata alle visite. «Bene, ce l'ha. Ma prima voglio sapere come ha fatto…»

«Comandante Vinsar, la prego, deve credermi» lo interruppe Ysaahi, diseperata, attaccandosi al suo braccio. «Non sono Thorsen, sono il cadetto Ysaahi. Si ricorda? Quella che ha preso il massimo voti nell'esercitazione al deposito rifiuti.»

Il klingon si ritrasse con disgusto da quella stretta.

«Questo non è un modo onorevole di affrontare il proprio destino. Purtroppo so benissimo chi è il Cadetto Ysaahi e lei non gli assomiglia per nulla.»

«E crede che non lo sappia? Quell'uomo ha scambiato i corpi e adesso è libero di muoversi sotto le mie sembianze. »

«Quello che sta dicendo non ha senso. Non esistono prove che sia possibile…»

«Le dico che è così! Lei deve credermi Comandante, solo lei può aiutarmi. Se non fossi Ysaahi, come farei a sapere di Ridge…»

«Non dica quel nome!»

«… e di Brooke… e della scuola di recitazione?»

Vinsar le scoccò uno dei suoi sguardi più gelidi. «C'erano altre persone a quella lezione, qualcuno deve avermi riconosciuto e ha parlato. Oppure il cadetto Ysaahi in persona avrà detto una parola di troppo: credevo di essere stato chiaro quando le ho imposto di mantenere il silenzio.»

«Chiaro come una supernova» mormorò Ysaahi, sconsolata. La sua ultima speranza era andata in fumo, era chiaro che nemmeno il suo Istruttore le avrebbe creduto.

Il klingon si bloccò, fissandola intensamente. «Come ha detto?»

Ysaahi lo guardò senza capire. «Ho detto: chiaro come… una supernova. Ma certo!» esclamò mentre in lei si riaccendeva la speranza. «Sono queste le parole che ho usato mentre eravamo sul palco. Eravamo solo lei ed io, nessun altro può averle sentite. Non può negare l'evidenza, Comandante, io sono Ysaahi!»

Vinsar rimase a guardarla per alcuni secondi, poi si appoggiò allo schienale della sedia e si sentì terribilmente stanco. «Posso avere un bicchiere d'acqua?» chiese, incapace di proferire altro.

Ysaahi si affrettò a versargliene uno.

«Se mi sta mentendo, le posso assicurare un ruolo di primo piano nel prossimo film di 00Z: ‘Una rupe non basta’! E io farò la parte del cattivo.»

«Ma i cattivi vengono sempre sconfitti…»

«Non nell'ultimo episodio della saga!» sogghignò il klingon. «Allora, vogliamo parlare di cose importanti?» chiese a voce alta. «Perché mi ha voluto qui?»

I due avevano cominciato una assurda conversazione mescolando frasi significative, appena bisbigliate, ad altre assolutamente neutre, dette a voce più alta: erano pur sempre all'interno di un carcere, in una sala sicuramente controllata da microfoni e telecamere.

«Perché non sono quello che sembro e voglio che lei mi aiuti a provare queste affermazioni.»

«Parlavo sul serio, cosa vuole da me?»

«Anch’io parlavo sul serio! Mi aiuti a fuggire! Dobbiamo trovare Thorsen, cioè Ysaahi, e rimettere ogni cosa al suo posto prima che lasci l'Accademia con i dati rubati.»

«Non sarebbe meglio parlarne con qualcuno? Chiedere la libertà provvisoria in attesa di ulteriori indagini»

«Credono tutti che stia fingendo per invocare l'infermità mentale, nessuno farà un passo per farmi uscire da qui.»

«Ho capito bene? Mi sta chiedendo di aiutarla ad evadere? Non sarebbe meglio parlare con un esperto di fisica molecolare che possa provare le sue parole?»

«Ci vorrebbe troppo tempo e non avremmo certezza di successo. Mi dia retta, Comandante, sono giorni che ci penso e non ci sono alternative: dobbiamo agire da soli!»

«E fanno bene! Un vigliacco doppiogiochista come lei merita solo di marcire in prigione.»

«Se anche lei mi abbandona, a chi potrò rivolgermi?»

«E sia! Ha già un piano?»

«Pensavo: lei potrebbe venire a trovarmi indossando un vestito abbondante e portando il materiale per costruire un manichino. Io potrei avvinghiarmi a lei, e nascondermi sotto il vestito: diventeremmo una persona unica e potremmo uscire dalla porta principale, lasciando il manichino al suo posto.»

Un suono indescrivibile, un misto tra un ruggito e una risata, uscì dalla gola di Vinsar. Nella sala di controlli, le guardie dovettero abbassare il volume degli altoparlanti.

«Farò finta di non aver sentito» disse il klingon, cercando di ricomporsi.

«Tralasciando i dettagli di ordine tecnico, come i sensori di calore nella cella e lo scan biochimico all'uscita, si rende conto che lei è un umano di quasi due metri che peserà almeno cento chili? Come potremmo pensare di passare per una persona sola?»

«A me sembrava una buona idea…»

«Deve guardare meno holo-movie o fra poco mi dirà che vuole intagliare un faser nel sapone!» Ysaahi arrossì violentemente ma non disse nulla.

«Mi ascolti: chiederò un nuovo colloquio tra qualche giorno e troverò il modo di entrare con un'arma che lei mi ruberà e che poi userà per prendermi come ostaggio.»

«Fantastico!»

«Adesso si riposi, il suo esaurimento è serio. Parlerò con un esperto e vedrò cosa posso fare per lei.»

«Grazie. Non posso chiedere di più!»

«Tornerò tra qualche giorno per farle sapere i risultati» concluse, alzandosi e facendo un cenno alla guardia di aver terminato. Mentre il campo di forza si disattivava per consentirgli l'uscita, Vinsar si sporse attraverso tavolo.

«Cadetto, ci pensi bene: ingegneria non è un corso di studi particolarmente interessante, non vorrebbe sceglierne un altro? Ci sono tante sezioni con una vita terribilmente noiosa, sono certo che lei potrebbe rendergliela più interessante.»

Malgrado la drammaticità della situazione, Ysaahi sorrise: era certa che l'ingegnere Vinsar si stesse divertendo come un pazzo.

Il piano ebbe successo! Nessuno si aspettava un tentativo di evasione e il faser che comparve improvvisamente nelle mani di Thorsen lasciò tutti a bocca aperta. Vinsar e Ysaahi recitarono la commedia in modo perfetto, tenendo sotto pressione gli addetti alla sicurezza che preferirono venire incontro alle richieste dell'evasore piuttosto che rischiare l'incolumità dell'ostaggio. Thorsen aveva dato chiari segni di squilibrio nei giorni precedenti e il consulente psicologo del carcere lo aveva indicato come soggetto altamente a rischio: vederlo brandire un faser regolato per uccidere faceva paura. Un paio di colpi sparati all'aria avevano fugato ogni dubbio residuo sulla opportunità di resistere, anche se avevano accorciato la vita dell'ingegnere di un paio di unità.

«Per le divinità di Q'nos, stia attenta con quell'arma» sussurrò, quando Ysaahi gliela puntò alla tempia dopo aver vaporizzato una telecamera.

«Niente paura ho messo la sicura.»

«L'ha detto anche quando ha distrutto il distributore automatico di bevande.»

«Ero emozionata, non avevo premuto i tasti giusti. Ma adesso sono più tranquilla. E poi, ha avuto effetto. Ha visto? Hanno smesso di metterci i bastoni tra le ruote.»

«Preferirei arrivare a vedere la luce del sole. Andiamo, prima che abbiano il tempo di organizzare le idee.»

Si allontanarono a bordo del mezzo di Vinsar, continuando a recitare la commedia dell'inerme istruttore tenuto sotto tiro dal pericoloso criminale, con lui alla guida e lei sul sedile posteriore. Si diressero verso lo spazioporto ma, approfittando del passaggio in una zona appartata e non coperta dai radar, fecero una sosta di pochi secondi, per permettere alla ragazza di scendere, non vista, dalla macchina.

«Allora siamo d'accordo» disse il klingon, porgendole un chip isolineare e un padd. «Lei, adesso, fila in Accademia e si nasconde nel mio ufficio. Questo è un generatore di schermatura che le permetterà di oscurare i suoi segni vitali e questa è una copia dell'ultima versione dei DDT che le permetterà di craccare facilmente alcuni dei blocchi di accesso all'Accademia.»

«Wow!» esclamò Ysaahi, esaminando con timore reverenziale il chip. I Derkozna Disk Tools erano il software più avanzato in fatto di hackeraggio e violazione di sistemi informatici, quasi una leggenda all'interno dell'Accademia. Si diceva che solo alcuni istruttori ne fossero in possesso e che li custodissero gelosamente; alcuni sostenevano che non fossero mai esistiti.

Vinsar la incenerì con lo sguardo. «La avverto, il chip ha un dispositivo antiduplicazione: non provi a clonarlo o se ne pentirà amaramente. E cerchi di non farsi beccare, o negherò di averglielo mai dato.»

«Non si preoccupi, Comandante. So bene quale sia la posta in gioco.»

Si dileguò nei vicoli mentre Vinsar ripartiva a tutta velocità. I finestrini oscurati nascosero al grande pubblico il loro piccolo trucco: tutti continuarono a pensare che sul sedile posteriore, il pericoloso Thorsen continuasse a tenere sotto tiro il povero Vinsar e la voce di Ysaahi proveniente da un piccolo registratore confermò la cosa a quanti parlarono per radio con il veicolo del fuggiasco.

Vinsar guidò fino allo spazioporto, portando la macchina in un piazzale affollato; parcheggiò in un punto strategicamente coperto da altri mezzi e aprì la portiera posteriore, simulando la fuga del suo rapitore. Accolse in malo modo le forze dell'ordine venute a salvarlo, mostrandosi infuriato con se stesso per essersi fatto giocare a quel modo dal prigioniero. Fu interrogato dalla sicurezza e la sua macchina fu perquisita minuziosamente, ma nulla fece scattare il sospetto che ci potesse essere qualcosa di strano. Al massimo si sarebbe potuto imputargli una scarsa intraprendenza, ma quanti, al suo posto, avrebbero osato fare qualcosa contro un criminale armato e pericoloso? Tempo qualche ora, e il comandante Vinsar poté tornare ai suoi alloggi, ferito nell'onore ma pulito da ogni sospetto.

Nel grande parco dell'Accademia, Lassi Thorsen stava cercando un angolo tranquillo per nascondersi agli occhi del mondo e trovare finalmente il modo di riposare. Quattro giorni. Doveva resistere per altri quattro giorni, poi sarebbe partito per il meritato periodo di licenza, allontanandosi finalmente dall'Accademia e dalla frenetica vita della sua controparte denobulana. Si era documentato, e aveva scoperto che i denobulani potevano sopravvivere con un numero di ore di sonno di gran lunga inferiore a quello degli esseri umani. Questo spiegava come mai la cadetta riuscisse a condurre una vita così intensa, e come mai il suo corpo potesse sopportare così bene quel ritmo: ma se il corpo era rimasto quello di Ysaahi, la mente era pur sempre quella dell'umano Thorsen, incapace dopo così poco tempo di gestire una fisiologia così attiva.

Thorsen era stanco: voleva dormire, staccare, non pensare più a niente. A volte gli sembrava di avere delle allucinazioni, visioni di cose assurde… Come questa, per esempio: vedere se stesso, il suo corpo, sgattaiolare furtivamente tra gli alberi centenari e dileguarsi tra le siepi. Si strofinò gli occhi e tornò a guardare con maggiore attenzione. Niente. Non un movimento, non un rumore. 'Sono proprio al limite' pensò, cercando di convincersi che fosse solo il frutto della sua immaginazione. Ma quando, poche ore più tardi, lesse la notizia della sua fuga, o meglio, della fuga del suo alter ego dal carcere del Quartier Generale, Thorsen capì che doveva stare molto attento. Se Ysaahi era riuscita a fuggire, poteva essere veramente lei quella che aveva visto nel parco. Maledizione, ma come aveva fatto ad evadere? Aveva fatto qualche progetto per tentare di riprendersi fin da subito l'anello con il dispositivo di trasferimento ma, a questo punto, non poteva permettersi di perdere tempo: era improbabile che quella ragazzina potesse mettergli i bastoni tra le ruote. Improbabile, ma non impossibile. Doveva fare in fretta, doveva allontanarsi e consegnare i dati rubati. A recuperare l'anello e a rimettere i corpi al loro posto ci avrebbe pensato in un secondo tempo. E se non ci fosse riuscito… Questo pensiero gli procurò una intensa emicrania: l'idea di rimanere bloccato nel corpo una ragazzina denobulana non lo allettava per nulla.

All'anello stavano pensando anche Vinsar e Ysaahi. Rientrato nel suo ufficio, il klingon aveva avuto la gradita sorpresa di trovarvi la sua allieva.

«Nessun problema?» chiese, con un tono che non ammetteva risposte negative.

«Nessuno» confermò Ysaahi. «Questo software è una vera bomba» aggiunse riconsegnando a malincuore il chip isolineare nella perentoria mano tesa dell'Istruttore. «Non credo mi abbia visto nessuno.»

«Bene, almeno questa è fatta» tagliò corto il klingon lasciandosi cadere nella sua poltrona e versandosi una dose abbondante di succo di pugne. «Adesso non ci rimane che smascherare la spia.»

«Il piano è semplice: cerchiamo Thorsen e lo affrontiamo.»

«Così ci prendono tutti e due per matti e ci internano direttamente. No, Cadetto, diranno che lei mi ha influenzato durante la fuga, condizionandomi a stare al suo gioco. Non abbiamo scelta, dobbiamo prima rimettere a posto le cose e poi arrestare Thorsen una volta che sia tornato nel suo corpo. Lei è sicura che il meccanismo sia miniaturizzato nell'anello?»

«Non può essere che così. Ho visto chiaramente un lampo di luce esplodere dalla mano di Thorsen e quando è avvenuto lo scambio ho sentito un formicolio partire dal punto dove mi aveva afferrato.»

«Se l’aveva ancora al dito al momento dell'arresto, l’anello deve essere in custodia presso la prigione, insieme con gli altri effetti personali. Cercherò di farmeli consegnare con la scusa di esaminarli. Dirò che, durante la fuga, lei ha detto cose che mi hanno fatto sospettare che qualcosa di importante potesse celarsi tra le sue cose. Il nostro laboratorio gode ancora di un certo credito, è possibile che non facciano difficoltà e mi consegnino il tutto in poco tempo.»

«Ma il colonnello Kharla, o Patrix Six vorranno assistere alle verifiche, non le permetteranno di sottrarre del materiale.»

«Cadetto, mi sembra che lei stia perdendo il suo abituale ottimismo. Com'è fatto, questo anello? E' molto complesso da riprodurre?»

Ysaahi cercò di ricordare. «Non mi sembra, è una semplice fascia non perfettamente circolare, più spessa davanti, nero lucido, quasi brillante, come ematite.»

«Ne costruiremo uno simile e lo metteremo al posto di quello autentico. Spero che Thorsen avesse qualcosa di più interessante nelle tasche: nessuno presterà attenzione ad un banale anello da uomo.»

«Comandante, lei è un genio!»

«Modestamente» si lasciò scappare Vinsar, per poi fulminarla con uno dei suoi sguardi al fulmicotone. «Adesso basta con queste sciocchezze, diamoci da fare: abbiamo poco tempo per portare a termine il piano, o la nostra spia ci sfuggirà dalle mani.»

In quello stesso momento, una importante riunione segreta stava avendo luogo in un angolo appartato di una delle rec room secondarie.

«Un attimo di attenzione, prego» A.J. batté qualche colpo con il cucchiaino facendo risuonare il bicchiere di vetro. Intorno al tavolo, cinque bocche smisero di parlare contemporaneamente e cinque paia di occhi si fissarono su di lui. «Vorrei ricordarvi che siamo qui riuniti per confrontare le nostre posizioni, ed eventualmente definire un piano di azione, con riferimento allo stato mentale della nostra comune amica Ysaahi.»

«Ma parla sempre così?» chiese Tarf, il Tellarite. Owen e Chantal, che lo conoscevano bene, annuirono vigorosamente.

«Ammettiamolo» riprese A.J., ignorando l'interruzione. «Negli ultimi tempi, Ysaahi si sta comportando in modo strano.»

«Strano? E’ completamente fuori di testa!» Sheeba, la caitiana, era esasperata. «I suoi risultati nelle ultime esercitazioni di ingegneria sono stati fallimentari, e ha fatto scena muta ad una interrogazione di Fandonius. Ysaahi! Scena muta!! Con Fandonius!!!»

«E non ha fatto una piega quando le hanno ammaccato il suo prezioso TQS» rincarò la dose l’andoriano Grahan. «Due addetti lo stavano riportando in magazzino dopo le riprese e lo hanno fatto cadere. E lei, nulla!»

«Ed è uscita a mani vuote da un grande magazzino con una svendita fantastica per rinnovo locali. Di più: non ha provato neanche un vestito.» Chantal era chiaramente scossa. «Nemmeno un foulard, capite?»

«E ha accettato di uscire con me sabato sera» sussurrò Owen, con un tono di voce appena percettibile.

Sul tavolo scese un silenzio profondo: davanti alle implicazioni di quella affermazione, ogni ulteriore commento sembrò superfluo. Anche se chiaramente scosso, A.J. fu il primo a riprendersi.

«Ormai è fuori discussione: qualcosa tormenta Ysaahi e rischia di fare uscire di testa tutti noi. Dobbiamo fare qualcosa, ma cosa?» Troppo tardi si rese conto che non avrebbe dovuto fare quella domanda: le proposte si riversarono sul tavolo come un fiume in piena.

«Diamole una botta in testa!»

«Facciamo finta di nulla!»

«Parliamone con De Leone.»

«Meglio con Cobledick.»

«Ha bisogno di compagnia, compriamole una arvicola domestica.»

«Perché non un canarino?»

«Mia nonna aveva un diavolo di fango denebiano e ne diceva un gran bene.»

«Impossibile, non ci credo!»

«Ti posso assicurare…»

«Ma siamo sicuri che mangi? E’ così deperita.»

«E’ troppo sotto pressione: il film, gli esami, …»

«Forse dovremmo lasciarla partire in pace. E’ solo stanca, quando tornerà sarà quella di prima.»

«Lasciarla andare? Nello stato confusionale in cui si trova? Rischia di commettere qualche sciocchezza…»

«Ysaahi commette sempre qualche sciocchezza!»

«Ragione in più per vegliare su di lei. Secondo me…»

«A mio parere…»

«Io dico che è meglio…»

Le proposte si susseguirono a ruota libera per diversi minuti, infine tutti concordarono sul fatto che la cosa migliore sarebbe stata parlarle.

«Allora d’accordo» concluse A.J. interpretando il desiderio di tutti. «Questa sera appuntamento davanti al suo alloggio. Le faremo sentire tutto il nostro affetto e la nostra comprensione, cercheremo di capire quali fantasmi tormentino il suo animo e faremo il possibile per dare sollievo alle sue pene.»

«Ma soprattutto» si raccomandò Owen, mentre tutti annuivano con gli occhi lucidi, «facciamo in modo che non cambi idea per sabato sera!»

Nell’alloggio di Ysaahi, Lassi Thorsen si stava preparando ad affrontare una serata tranquilla. Aveva disdetto tutti gli appuntamenti, rinunciato alla palestra, all’aperitivo con i cadetti del quinto anno e al dopocena con il circolo dei giovani ingegneri. «Devo cominciare a preparare la valigia» aveva detto per giustificarsi; mancava ancora qualche giorno ma la scusa era credibile. E preparare la valigia era esattamente quello che stava facendo, più che altro per non destare sospetti ad un passo dal successo della missione. Fu quindi con un certo fastidio che si rivolse all’interfono quando il famigliare cicaleccio lo distolse dai suoi sogni di gloria.

«Chi è?» chiese, brusco.

«Sono io, A.J.» rispose la voce del suo amico. Thorsen sospirò: lo avrebbe volentieri mandato al diavolo ma si fece coraggio.

«Non questa sera A.J., sono stanca. Ho la valigia da preparare.»

«Dai, solo qualche minuto. Ho una sorpresa per te.»

Era vero, peccato che la sorpresa non fosse quella che Ysaahi si aspettava: una volta aperta la porta, una folla si riversò nel suo alloggio, travolgendola. C’erano tutti: A.J. in testa e poi Owen, Sheeba, Tarf e Grahan. Chantal lanciò un grido inarticolato quando vide i vestiti gettati alla rinfusa nella sacca.

«Ysaahi, che stai facendo? Solo un uomo può fare la valigia in un modo talmente…bestiale! Guarda come hai ridotto quello splendido vestito in lamé.»

Thorsen, spinto verso il fondo dell’alloggio da quella massa di amici premurosi, stava per dire tutto quello che pensava del vestito in lamé, delle scarpe coi tacchi a spillo e della minigonna cangiante quando ogni parola gli morì in gola. Nel vano della porta era apparsa la massiccia sagoma di un klingon e, subito dietro di lui, quella di un umano quasi altrettanto ben messo: se stesso.

Il tempo sembrò fermarsi dilatandosi all’infinito: se Thorsen era rimasto pietrificato nel vedere l’unica persona che proprio non avrebbe voluto incontrare, Vinsar e Ysaahi erano altrettanto basiti di fronte a quell’inaspettato assembramento. Gli amici, troppo impegnati a fissare Ysaahi e a tentare di interpretare il motivo del suo sconvolgimento, non si accorsero dei due nuovi arrivati fino a quando la ragazza, in preda a visibile emozione, non riuscì a puntare un dito davanti a sé e a balbettare qualcosa.

«Là… là… la la… la spia!»

Da quel momento in poi fu il finimondo. Thorsen cercò di aizzare gli amici contro Ysaahi ma la carismatica presenza di Vinsar a fianco della spia fece nascere il sospetto che ci fosse qualcosa di poco chiaro. Lasciandoli impalati. L’uomo si lanciò verso se stesso, cercando, con il suo esempio, di trascinare gli altri ma fu con orrore che, all’ultimo momento, vide l’anello al dito di Ysaahi. Cercò di scartare ma era troppo tardi: Ysaahi, al momento ben più alta e ben piantata di lui, lo afferrò saldamente, stringendogli le braccia e azionando l’anello. Questa volta non ci furono ritardi: un breve lampo e i due ebbero un mancamento quasi nello stesso istante. Thorsen, abituato a quella sensazione, fu il primo a riprendersi, giusto in tempo per essere centrato da un destro di Vinsar che lo mandò a gambe all’aria. Il klingon non fece l’errore di abbassare la guardia: approfittando del momento di smarrimento dell’uomo, si impossessò dell’anello che questi portava ancora al dito, togliendogli anche l’ultimo barlume di speranza: sfinito, di nuovo nel suo corpo che la denobulana strapazzava già da diversi giorni, Thorsen si accasciò al suolo incapace di opporre resistenza.

Nell’angolo opposto, Ysaahi tentò di rialzarsi e si sentì leggera come una piuma. Che cosa splendida avere di nuovo il proprio peso, che meraviglia tornare a vedere il mondo da un’altezza di centosessantotto centimetri! Sorrise agli amici che si stringevano attorno a lei per sincerarsi delle sue condizioni e si sentì felice: era nuovamente a casa.

Era finita. Ogni cosa era tornata al suo posto, la cospirazione smascherata, i dati rubati recuperati, la spia nuovamente in prigione. Vinsar fu acclamato come l’eroe che aveva coraggiosamente inseguito e catturato un pericoloso criminale in fuga e il fatto che avesse contribuito a quella stessa fuga facendosi prendere come ostaggio fu un dettaglio presto dimenticato di fronte alla grandiosità della sua impresa. Garf e De Leone, fecero il giro di tutti i notiziari e il loro sorriso insopportabilmente soddisfatto perseguitò più di un onesto cittadino. Le riprese del film terminarono senza problemi e con una insperata pubblicità: erano in molti a scommettere che il nuovo film di 00Z avrebbe sbancato il botteghino e probabilmente vinto l’Oscar; il film era ancora in post produzione e già circolava la voce che il regista Smithee stesse lavorando ad un nuovo episodio.

Ysaahi tornò in poco tempo quella di prima: casinista, prepotente, compagnona; gli amici rimpiansero i tempi in cui era stata una tranquilla e gentile studentessa, ma non l’avrebbero cambiata per nulla al mondo. Dell’anello, la ragazza non seppe più nulla: quando provò ad accennarne al comandante Vinsar, si beccò un quattro senza una parola di spiegazione. Capì l’antifona e non ne fece più parola.

‘In fondo, ci sono cose più importanti nella vita’ pensò, aprendo la porta del suo alloggio. Era sabato sera e Owen era passato a prenderla.

«Sul serio non vuoi ripensarci, Ysaahi?» chiese, imbarazzato, porgendole un piccolo mazzo di fiori. «Ho la sensazione che non fossi te stessa quando hai accettato riuscire con me.»

La denobulana accettò i fiori con un sorriso. «Non dire sciocchezze, Owen, è solo che, a volte, per fare la cosa giusta abbiamo bisogno di una piccola spinta.» Lo prese sotto braccio prima che avesse il tempo di replicare e lo trascinò lungo il corridoio.

 

Note

¹   Paletto 1: ecco l'insulto di Ysaahi per farsi rispettare dagli altri prigionieri, peccato che lo capisca solo lei. Solo i denobulani, di solito trigami e di indole positiva, possono ritenere insultante essere accusati di monogamia e di pessimismo. 'Platelminta mononeuronato' non è rivolto ai carcerati quindi non vale come paletto, però è venuto spontaneo.

²   PaLotto di Melisande Koudelka: Ysaahi recita una poesia.

³   Paletto 2: la scultura di Ysaahi, utilizzata come omaggio per Vinsar, per attirare la sua attenzione.