Cadetto YSAAHI

matricola numero 17

STIC Academy New Adventures
è; un gioco di ruolo dello STIC Star Trek Italian Club




FUGA DA SAN FRANCISCO


E' l'ora di cena ma nel grande refettorio del Campo Principale dell’Alleanza Klingon-Cardassiana, noto come l’Accademia, nessuno sembra avere voglia di mangiare: gli occhi di tutti sono puntati verso i megaschermi sintonizzati, come ogni giorno, sull'unico canale disponibile. Il notiziario ha snocciolato i soliti servizi propagandistici senza suscitare il minimo interesse negli apatici spettatori ma ecco che, alle prime note della sigla di ‘Olo-Movie’, la rubrica dedicata al cinema, un insolito brusio anima la sala.

C'è grande attesa per il nuovo film di ‘Numero Z – Golden S.P.E.C.T.R.E.’: il trailer mozzafiato incanta la platea, gli effetti speciali di ultima generazione lasciano tutti a bocca aperta ma l'attenzione è monopolizzata dalla protagonista del film, una giovane denobulana alla sua prima esperienza cinematografica. Intervistata dalla rigida conduttrice della rubrica, la ragazza sembra timida e impacciata, ben diversa dal personaggio forte e spavaldo che interpreta nel fortunato serial.

«Si vede che è una novellina. Se avessero preso me per questo ruolo, il film avrebbe avuto tutt'altro spessore» commenta un aitante caitiano dalla prima fila. Il prequel, girato proprio all’Accademia con budget limitato e attori non professionisti, sembra aver incontrato il consenso di pubblico e critica, e ora sono in molti a mangiarsi le mani per aver rifiutato le parti offerte loro quando ancora nessuno credeva in questo progetto.

C'è una tensione palpabile che sembra crescere man mano che l'intervista procede; anche la giovane attrice sembra sulle spine, quasi temesse di dire qualcosa di inadeguato durante quello che, a tutti gli effetti, è un evento eccezionale: una intervista in diretta è cosa rarissima sulla emittente del regime, solo un progetto ardito e un successo inaspettato come quello di 'Numero Z' hanno indotto i produttori a rischiare, per ottenere la massima pubblicità possibile.

E i fatti sembrano dar loro ragione: l'intervista volge al termine senza nessun inconveniente e con il massimo indice di gradimento: tutti gli schermi del Campo sono accesi, lavoratori e sorveglianti non sono disposti a perdere nemmeno un secondo di trasmissione. Il successo è completo.

«E con questo salutiamo il nostro nuovo 'Numero Z'» conclude la giornalista, sorridendo alla denobulana, che sembra farsi piccola piccola di fronte a tutti quei complimenti. «In attesa delle prossime avventure, c'è qualche cosa che vorrebbe dire ai nostri telespettatori?»

Per la prima volta dall'inizio dell'intervista, la ragazza guarda direttamente in camera, mentre sul suo viso si dipinge un radioso sorriso: «Beh, come ama ripetere 'Numero Z': ottimismo!»

A quelle parole, l'intero campo esplode in un boato assordante.

La rivolta ha inizio.

Alcuni giorni prima…

«Ma con tutti i Cadetti che ci sono all’Accademia, perché proprio io?»

La domanda continuava a frullare nella mente di Ysaahi già da un po' di tempo, da quando cioè era stata rapita per portare a termine una misteriosa missione ed era stata trasportata in quell'improbabile universo, dove la gloriosa Accademia della Flotta Stellare era solo un campo di lavoro, gli Istruttori dei feroci aguzzini e i compagni di corso dei disperati sfruttati fino allo sfinimento. Le erano bastate poche ore per capire che non sarebbe stata una passeggiata: solo per non aver risposto con sufficiente prontezza agli ordini dei Sorveglianti, aveva fatto più volte conoscenza con la loro lancia ad energia. Trascinata da un capo all'altro dell'edificio, aveva avuto modo di vedere i locali dove altri giovani venivano usati per i lavori più duri, oppure per studi ed esperimenti che definire criminali sarebbe stato poco. L'infermeria, dove era stata ricoverata con la febbre alta per la dose eccessiva di scariche elettriche, sembrava più un macello che un ospedale, con lunghi scaffali pieni di reperti sotto formaldeide, con esseri così deformi da far accapponare la pelle: l'idea di poter finire come quelle povere arvicole vivisezionate aveva senza dubbio accelerato la sua guarigione.

Dopo quella esperienza, aveva deciso che le sarebbe convenuto mantenere un profilo molto basso: morta non sarebbe stata utile a nessuno, men che meno a lei stessa. Da quando aveva deciso di tenere a freno la lingua, le cose erano migliorate sensibilmente: nessuno aveva più alzato su di lei il dolorosissimo ‘bastone ad energia’, nessuno le aveva prestato attenzione più di tanto, e questo le aveva permesso di guardarsi attorno con maggiore attenzione.

Sulle prime aveva avuto la sensazione di trovarsi in una struttura malandata e fatiscente, una specie di campo di prigionia dove le persone venivano schiavizzate, torturate e forse uccise senza pietà. Aveva dovuto ricredersi. L’Accademia era un campo di lavoro freddo e cupo ma anche efficiente e tecnologicamente molto avanzato; il fatto che venissero usati metodi coercitivi per tenere sotto controllo i lavoratori non doveva venire confuso con disorganizzazione o brutalità fine a se stessa. Gli edifici avevano sbarre alle finestre, ai lavoratori venivano impiantati dispositivi di localizzazione e gli orari di lavoro erano molto pesanti ma ogni attività era programmata con la massima cura e a nessuno veniva richiesto più di quanto fosse fisicamente sopportabile. I locali erano puliti, quasi asettici; gli edifici illuminati, anche se di una luce fredda e spettrale; ogni evento della giornata scandito da una sirena, ogni notizia diffusa dalla fredda voce degli amplificatori diffusi ovunque.

Anche a lei era toccata una sorte non dissimile da quella degli altri lavoratori: l'avevano schedata, le avevano consegnato una divisa e l'avevano indirizzata al reparto di ingegneria delle armi, un laboratorio tecnologicamente avanzato per lo studio e la realizzazione di nuovi e sempre più letali strumenti di offesa, coordinato da un Tullio Trebatio Fandonius dallo sguardo duro e tagliente. Le avevano assegnato anche un alloggio, piccolo e spartano, con una branda di metallo dura come il gradito e con una compagna di stanza dal viso noto: Pel, l'andoriana che aveva salvato dall'esplosione durante la lezione di Stark e che aveva poi vissuto con lei l'incredibile avventura all'interno del simulatore olografico. Per un attimo, Ysaahi credette di aver trovato un'amica ma la sua compagna di stanza non aveva nulla dell'andoriana che conosceva: questa Pel si dimostrò subito fredda, dura, sgarbata, desiderosa di primeggiare anche a costo di passare su qualche cadavere. Teneva delle foto di Stark attaccate sopra la sua cuccetta e ogni sera le rimirava con sguardo lascivo e malcelato desiderio. E passava il tempo giocando a freccette con una foto di Felix Viskas, riempiendolo di velenosi insulti ogni volta che riusciva a colpirlo. Ysaahi, nel timore di venire aggredita in un momento di disattenzione, programmò un sensore di prossimità che accendeva coscienziosamente tutte le volte che la sua compagna di stanza era nei paraggi.

Pel e Fandonius non furono gli unici visi noti che le capitò di incontrare ma raramente si trattò di incontri piacevoli: c'erano Tarf e Grahan, bersagli preferiti dei soprusi di un tirannico Cobledick, e poi Sheeba, costretta ai salti mortali per non cedere alle avances di un insistente De Leone; lei stessa dovette guardarsi da un Vinsar particolarmente audace nel corso delle visite di quest'ultimo al laboratorio. Durante il suo breve ricovero, aveva notato Owen tra gli infermieri ma lo sguardo sadico che aveva visto nei suo occhi le aveva messo i brividi. A.J. lo aveva incrociato in un corridoio, mentre intruppata con altri stava rientrando dal suo turno di lavoro: non avevano il permesso di parlare durante gli spostamenti ma era certa che lui l'avesse guardata rivolgendole un fugace sorriso. Quel piccolo gesto le diede una briciola di speranza: se un A.J. di un qualunque universo era dalla sua parte, forse c'era la possibilità di portare a termine la missione.

Già, la missione… Non ci aveva più pensato da quando era stata seccamente congedata dai tre misteriosi figuri che l'avevano rapita, presa com'era dalla necessità di ambientarsi e sopravvivere a quell'universo per lei ostile. Ora che aveva inquadrato la situazione, imparando a muoversi con circospezione, era arrivato il momento di darsi da fare.

Fare… che cosa? I suoi rapitori erano stati molto parchi in fatto di spiegazioni e lei non aveva avuto modo di documentarsi in modo adeguato. Ok, tutti conoscevano l'incidente di Halka e sapevano dell'Impero che dominava nell'universo parallelo. Lei per prima era sempre stata attratta da quella storia e avrebbe desiderato conoscere quel mondo e chissà, incontrare il suo doppio. Ma dove si trovava ora non c'era nessuna traccia di quell'Impero spietato ma affascinante: c'era solo una Alleanza Klingon-Cardassiana che aveva preso il controllo, riducendo l'opposizione in schiavitù. E cosa si aspettavano da lei? Che organizzasse una rivolta e una fuga di massa, per dimostrare che reagire era possibile?

«Sono un Cadetto, non un Rivoluzionario!» esclamò per sfogarsi, nella scomoda tranquillità del bagno comune, in quel momento insolitamente deserto. Fu un errore. Una sirena cominciò ad emettere un boato assordante mentre una luce rossa e intermittente si sostituì alla normale illuminazione rendendo il locale simile ad un girone infernale. Le porte si bloccarono automaticamente mentre una voce scese dall'alto: «Allarme! Allarme!» tuonò l’altoparlante, con il tono che probabilmente Dio avrebbe riservato agli empi il giorno del Giudizio Universale. «Pronunciata parola proibita! Identificare e reprimere!»

«Un momento, un momento» balbettò Ysaahi, tentando di ricomporsi: era già abbastanza preoccupante il fatto di aver fatto qualcosa di illecito in un mondo dove anche un respiro non autorizzato poteva essere severamente punito, ma farsi arrestare nell'esercizio delle sue funzioni corporali era al di là di quello che avrebbe potuto tollerare. Fece appena in tempo. Un attimo dopo, il locale fu invaso da una pattuglia di uomini della sicurezza, in tenuta d'assalto e fucili spianati; li capitanava uno Sherman che, all'apparenza, nulla aveva di diverso da quel cuore di burro sotto una scorza da sterminatore che lei ben conosceva, ma che la sbatté a terra con forza mettendola fuori combattimento.

«Ti abbiamo beccato, rivoluzionario dei miei stivali!» esclamò soddisfatto, appoggiandosi alla schiena della malcapitata con tutto il suo peso. «Lo avevo detto che mettere dei sensori vocali nel bagno sarebbe stata una mossa vincente.»

«Rivoluzionario?» tentò di difendersi Ysaahi con il poco fiato che ancora le rimaneva. «Ma io… No, ecco… Era solo una battuta…»

«Una battuta infelice!» esplose Sherman, ridendo sinistramente. «Vedrai come ti batterò io nella stanza degli interrogatori se non ci dirai subito i nomi dei tuoi compagni.»

Un caitiano dal pelo fulvo si fece timidamente avanti. «Signore, credo che il prigioniero intendesse un'altra cosa. Non l'ha riconosciuta? E' Ysaahi» si affrettò a spiegare, in risposta ad una occhiata fulminante dell'uomo, «la nuova protagonista del film che stanno girando qui all’Accademia. Probabilmente stava recitando una battuta del copione…»

«Recitare? In bagno?» ringhiò Sherman, dopo averla guardata con più attenzione. Ysaahi, che a sentir parlare di un film girato all’Accademia aveva perso altri due mesi di vita, tentò di non farsi sfuggire quell'inaspettato salvagente.

«E' vero, qui è più tranquillo…» biascicò con voce flebile: il ginocchio di Sherman piantato sulla sua schiena le impediva quasi i respirare. La vista cominciava ad appannarsi quando si sentì sollevare di peso: in un attimo era di nuovo in piedi.

«Viskas, qui, potrebbe avere ragione» disse Sherman, studiandola con uno sguardo da serial killer. «Nell'azione non ti avevo riconosciuta. Certo potrei portarti dentro per ulteriori accertamenti ma non voglio che le riprese subiscano dei ritardi. Sono sicuro» bisbigliò facendosi più vicino, «che metterai una buona parola con il regista quando inizierà il casting degli attori non protagonisti.»

Indietreggiando, Ysaahi sentì alle sue spalle l'inconfondibile pelo di Viskas: «Prendi questo» sussurrò il caitiano, allungandole un padd, «sono sicuro che saprai farlo avere a chi di dovere.»

Ysaahi abbassò gli occhi e lesse: «Felix Viskas, si vive solo nove volte».

Sospirò: gli universi cambiano, certe persone no!

Ysaahi era nervosa. L'episodio le aveva fatto capire che non poteva continuare a tergiversare: non era un agente segreto, non era tagliata per quel ruolo se mai ci fosse stato ancora qualche dubbio. Più tempo avrebbe passato nell'universo specchio, maggiori sarebbero state le possibilità di commettere qualche sciocchezza e farsi scoprire. E poi questa storia del film le faceva venire la nausea. Guardò con odio il copione abbandonato sulla sua branda: ‘Numero Z – Golden S.P.E.C.T.R.E.’, un prequel della famosa saga ambientata nel mondo dei servizi segreti cardassiani. Inganni, tradimenti, omicidi, tutto giustificato dal bene superiore dell'Alleanza e dei suoi leader. Definire propagandistici gli scopi del film sarebbe stato un eufemismo: ‘Numero Z’ non era altro che uno spietato killer al servizio dell'ordine costituito; tanto l'aveva esaltata recitare quella parte nel suo universo, tanto ora la disgustava l'idea di dover fare altrettanto in questo. Doveva fuggire di lì il più in fretta possibile e portare a termine la missione sembrava l'unico modo per farlo.

Quel pomeriggio si mise ad esplorare minuziosamente il suo alloggio, alla disperata ricerca di qualche indizio su quali fossero i progetti del suo doppio: se era quell'elemento cardine che i suoi mandanti ritenevano che fosse, doveva avere un piano per far scoppiare questa maledetta rivolta. Svuotò i cassetti, ribaltò la brandina, esaminò il pavimento palmo a palmo. Come era prevedibile non trovò nulla ma c’era da stupirsi? Chi mai avrebbe lasciato delle informazioni compromettenti in un universo dove persino i bagni erano sorvegliati? Sfogliò piena di speranza i pochi libri presenti sulla mensola: il volume 'Salsa Yamok in cento guise' con la dedica di Chantal sulla prima pagina le strappò un sorriso. Cosa avrebbe dato per essere con l'amica a chiacchierare e a fare shopping in qualche megastore…

Si era gettata con speranza su un piccolo diario nascosto in mezzo alla biancheria ma l'entusiasmo era presto mutato in frustrazione: tra le pagine aveva trovato solo asettiche riflessioni e monotone descrizioni di qualche raro evento vissuto al campo. Si trattava di uno specchietto per le allodole, questo era chiaro, ma allora dove erano nascoste le informazioni veramente importanti? Quali erano gli amici e quali i nemici? Le avevano detto che all'interno avrebbe trovato qualcuno ad aiutarla ma fino a quel momento nessuno si era fatto vivo E per quanto sforzi facesse non riusciva a capire chi fosse dalla sua parte e chi no.

Alla fine del quinto giorno di reclusione decise che era venuto il momento di far scendere in campo la sua arma segreta: i famosi DDT, i Derkozna Disk Tools, il leggendario software per l'hackeraggio più sfrenato di cui si era impossessata durante l'affare Thorsen. Era miracolosamente riuscita a non farseli requisire al suo ingresso al campo e ora era disposta a rischiare pur di riuscire ad infiltrarsi nel sistema per carpire qualche informazione. Aveva accuratamente studiato la disposizione delle telecamere nel suo alloggio - perché non potevano non essercene - fino ad identificare un angolo morto che le avrebbe permesso di agire indisturbata. Aveva approfittato di ogni occasione per studiare l'infrastruttura della rete informatica e il sistema non le era sembrato irresistibile: era talmente ottimizzato per combattere attacchi dall'esterno da risultare facilmente accessibile dall'interno.

'Probabilmente sarei riuscita ad entrare anche senza l'aiuto di questo gioiellino' gongolò Ysaahi, mentre il suo cavallo di troia si inoltrava nel sistema facendosi beffe dei sistemi di protezione. 'Adesso devo solo identificare le aree con il maggior grado di protezione e sicuramente lì troverò le informazioni che mi servono.'

Era così intenta a completare la sua opera che non si accorse dell'ombra che si era materializzata dietro di lei. Una voce alle sue spalle le fece fare un salto di almeno mezzo metro.

«Ysaahi, si può sapere che stai facendo?». Era A.J..

«A.J., maledizione a te, vuoi farmi venire un infarto?» chiese, affrettandosi a interrompere le ricerche e a chiudere il collegamento, facendo ricomparire sul monitor un complicato schema di ‘campo minato’. «Sto solo facendo un solitario…»

«Quello non è un solitario, è campo minato. E poi dovresti saperlo che…»

«Dovrei sapere cosa?» lo interruppe lei, sulla difensiva: doveva stare attenta e non pensare a quanto questo ragazzo assomigliasse al suo come una goccia d'acqua. «Come hai fatto ad entrar…»

Qualcuno bussò alla porta con l'evidente intenzione di abbatterla: «Fermi tutti, sorveglianza!» tuonò la voce di Sherman mentre una squadra di sicurezza entrava nella piccola stanza con le armi spianate. Ysaahi era terrorizzata: con abile mossa era riuscita a far sparire il prezioso software ma il timore di essere stata scoperta la paralizzava. Stranamente, Sherman e compagni non dedicarono particolare attenzione al suo terminale.

«Questo è un assembramento non autorizzato» gridò Sherman, quasi in risposta alle sue domande. «Sapete che gli assembramenti di un qualsiasi numero di persone superiore a uno sono vietati al di fuori della mensa o delle zone ricreative. I lavoranti Pel e Quinroy hanno fatto bene a denunciare questa violazione…»

Alle spalle dell'uomo, due visi noti sogghignarono soddisfatti. Ysaahi represse a malapena l'impulso omicida nei confronti della mezzosangue: se c'era una persona che aveva sperato di non dover incontrare quella era proprio Beatrix Quinroy, miss Numero Uno, 'in questo come nell'altro universo. Ma verrà il giorno in cui cancellerò il sorriso dal tuo bel faccino' pensò, non facendo nulla per dissimulare i suoi sentimenti.

Sherman non diede segno di essersi accorto di nulla. «Allora, di chi è stata l'idea? Lei, signor Simon, non è nel suo alloggio…»

«…ma è stata lei a chiamarmi!» si difese A.J. indicando la denobulana con gesto inequivocabile. «Mi ha chiesto di ripararle una piccola perdita assicurandomi che nell'alloggio non ci sarebbe stato nessuno invece, quando sono entrato, l'ho trovata nell'ombra ad aspettarmi.»

«E' vero?» chiese Sherman con la solita voce roboante ma Ysaahi era troppo allibita per rispondere. Fissava il ragazzo con la bocca aperta e gli occhi spalancati: non poteva credere che A.J., di qualunque A.J. si trattasse, fosse capace di una cosa tanto meschina.

Tutta la rabbia e la frustrazione accumulate negli ultimi giorni esplosero senza preavviso. Si gettò su A.J. gridando frasi inarticolate, con l'evidente intenzione di colpirlo, ma fu fermata da una scarica di energia. L'ultima cosa che vide mentre sprofondava nell'oscurità, fu il ghigno sardonico di Beatrix Quinroy.

Riemerse da un sonno agitato e pieno di incubi solo per sprofondare in uno ancora più terribile: era in infermeria, immobilizzata sul lettino, incapace di muoversi e di parlare. In un angolo della stanza, le inconfondibili frasche della dottoressa Leneorat si agitavano con un inquietante fruscio. Accanto a lei, Owen Benson era impegnato a preparare un hipospray: la guardò con occhi talmente folli che Ysaahi fu presa dal panico. Tentò di gridare ma nessun suono uscì dalla sua bocca. Il sibilo sommesso dell'hipospray la accompagnò nuovamente nel mondo dei sogni.

«Ysaahi? Ysaahi! Dai, non farci stare in pensiero, svegliati!»

«Niente da fare, non si sveglia. Ma che razza di intruglio le hai dato?»

«Solo un blando sedativo, niente di più. Avanti, Ysaahi, non abbiamo molto tempo.»

«Prova con qualche schiaffo…»

Un grugnito proveniente dal lettino interruppe quel concitato scambio di opinioni.

«Gli schiaffi li rifilo io a tutti e due se non la piantate di fare rumore» disse, annaspando per riacquistare lucidità. «Ho la testa che mi scoppia…» Lo smarrimento fu di breve durata: l'attimo dopo, la denobulana era in piedi sul lettino e cercava di colpire Owen ed A.J. con un pitale.

«Voi due, luridi doppiogiochisti e traditori: come osate rivolgermi ancora la parola? Tu!» esclamò roteando la sua arma impropria verso A.J., «che dopo esserti introdotto furtivamente nel mio alloggio, mi accusi di averti teso una trappola, e tu» rincarò, prendendosela con Owen, «che continui a guardarmi con quello sguardo da belva famelica: siete il gradino più infimo dell'umanità, siete…»

«Vedi? Te l'avevo detto stava bene» disse Owen schivando il colpo. A.J. si era già riparato dietro una console. «E' vero, è proprio la solita Ysaahi.»

«…la feccia della razza umana, siete… »

«E' bello vederla di nuovo in forma.»

«Sì, ma ora come la fermiamo?»

«…più schifidi di un mostro di fango denebiano, siete…»

«Che dici, vado con un'altra dose di sonnifero?»

«No, che dopo non la svegliamo più.»

«…insomma, la volete smettere di chiacchierare mentre vi sto insultando? E’ una cosa che mi fa venire i nervi. Si può sapere cosa sta succedendo?»

«Oh, finalmente una domanda sensata» esclamò A.J. facendo capolino dal suo nascondiglio. «Ysaahi, calmati, siamo dalla tua parte.»

«Ho dovuto sedarti per portarti in questa camera di isolamento» spiegò Owen. «Qui possiamo parlare liberamente, non ci sono telecamere né microfoni. Ma non abbiamo molto tempo…»

Ysaahi era allibita: dopo tutto il tempo sprecato a cercare qualche informatore, ecco due angeli custodi che si materializzavano al suo fianco.

«Ma tu…» balbettò indicando A.J..

«Ho dovuto farlo» spiegò il ragazzo, con aria di scusa. «Ero venuto per parlarti ma non immaginavo certo di incrociare Pel e Quinroy. Non potevo rischiare che la mia copertura venisse scoperta, siamo troppo vicini al momento topico.»

«E' sicuro, hanno confermato la tua intervista: in diretta, al telegiornale della sera.»

«I guastatori hanno dato l'ok: quando saranno pronti a disattivare i sistemi di sicurezza daranno il segnale.»

«E i tecnici video sono dalla nostra parte: al momento opportuno attiveranno le telecamere di servizio e la rivolta andrà in diretta in tutto il paese.»

«Voglio vedere come faranno a spegnerci: abbiamo i migliori hacker infiltrati in rete, renderanno impossibile disattivare la trasmissione.»

«E' fantastico! E non ce l'avremmo mai fatta senza di te.»

«Questo film di ‘Numero Z’ è stato un vero colpo di fortuna…»

«E Ysaahi è stata grande a farsi affidare la parte…»

L'euforia dei due ragazzi era incontenibile: la testa di Ysaahi era lì lì per scoppiare.

«Ehi, ehi, ehi, fermate le macchine!» esplose la denobulana, appoggiando finalmente il pitale e sedendosi sul lettino a gambe incrociate. «Per un sequafu fate finta che io non sappia di cosa state parlando e spiegatemi tutto dall'inizio.»

Owen la fissò preoccupato: «Ommioddio, non dirmi che ti sei dimenticata tutto.»

A.J. gli tirò una gomitata. «Lo sapevo, lo sapevo che qualcosa sarebbe andato storto: è tutta colpa di quei tuoi intrugli…»

«Adesso non ricominciare. Non le ho dato nulla di dannoso.»

Sentire i suoi amici battibeccare a quel modo fu un vero toccasana per Ysaahi: per un attimo le sembrò di essere di nuovo a casa, all'Accademia della Flotta Stellare, dove quelle scene erano all'ordine del giorno¹. Il desiderio di tornare al più presto nel suo universo si ripresentò più pressante di prima.

«Ragazzi, stata tranquilli. Mi gira solo un po' la testa. Ripetetemi i passi essenziali, così faccio un po' d'ordine.»

«La rivolta te la ricordi, vero?»

«Ma sì, ma sì, vai avanti.»

«Qui all’Accademia sono tutti pronti, aspettano soltanto la parola d'ordine per muoversi…»

«…tutti insieme, ovunque, nello stesso istante…»

«…in un momento in cui l'attenzione sarà bassa e i controlli allentati…»

«…e sarai tu a dare la parola d'ordine durante l'intervista.»

«La trasmissione è in diretta, non potranno fermarti…»

«…e tutti, al campo, saranno con gli occhi puntati sul video, in attesa.»

«Dovrai solo assicurarti che le nostre squadre siano in posizione.»

«La squadra che si occupa dei sistemi di sicurezza farà spegnere l'indicatore di 'trasmissione in corso'…»

«…e gli hacker, una volta infiltratisi nel sistema, manderanno un fischio di interferenza in cuffia.»

«Solo se riceverai i due segnali potremo entrare in azione.»

«Tu pronuncerai la parola d'ordine…»

«…e l'inferno si scaaateeeneeeraaaaaa!»

«Tutto chiaro?» chiesero all’unisono.

Ysaahi era frastornata ma cercò di non darlo a vedere: «Tutto chiaro!»

«L'intervista è stasera, ho chiesto a Owen di 'rapirti' in modo da poterti aggiornare. E' tutto pronto, possiamo procedere con l'ultima fase.» La abbracciò con calore: «In bocca al lupo!»

«Crepi!» rispose lei, rispondendo all'abbraccio.

«Andrà tutto bene» la rassicurò Owen, abbracciandola a sua volta. Lei annuì, commossa. In questo come nell'altro universo formavano proprio una bella squadra. Eppure c'era qualcosa…

«E adesso via, prima che si insospettiscano.»

La aiutarono a stendersi di nuovo sul lettino.

«Ehi, ragazzi, un momento!»

Il famigliare sibilo della siringa hipospray la distrasse per un attimo.

«Io non conosco…»

Sentì le membra rilassarsi, gli occhi farsi pesanti, la voce diventare un sussurro.

«…la parola d'ordine.»

Il buio l’avvolse nuovamente.

Ed ora era lì, nell'anticamera dello studio di registrazione, in attesa di andare in onda, finalmente sola ma isolata dal resto del mondo. Quando si era svegliata l'avevano immediatamente dimessa dall'infermeria, ma solo per scortarla sotto stretta sorveglianza agli studi di registrazione. Qui l'avevano pulita, truccata, vestita come si addiceva al suo personaggio, sempre sotto l'occhio vigile di una squadra di sicurezza. Aveva cercato invano una scusa per essere riaccompagnata nel suo alloggio e cercare qualche indizio che potesse indicarle quella maledetta parola d'ordine ma le guardie erano state inflessibili. E quella non era una cosa che si poteva chiedere al primo venuto: 'salve, mi scusi, devo far scoppiare una rivoluzione, conosce mica la parola d'ordine?'

In realtà c'era ben poco da ridere: se le squadre fossero passate all'azione lanciando i segnali e lei non ne avesse approfittato, tutta l'operazione sarebbe saltata. I ribelli sarebbero stati sicuramente scoperti e chissà quando ci sarebbe stata un'altra occasione come quella, senza pensare a quanti sarebbero stati catturati e uccisi. Per la prima volta da quando era iniziata quell'avventura sentì tutto il peso della responsabilità. Ed ebbe paura.

In preda ad un terrore incontrollabile, si gettò sulla porta e piombò nel locale adiacente tentando una fuga disperata, solo per finire tra le braccia di Joan Maxwell. La donna la bloccò senza mezzi termini.

«Ysaahi, dove sta andando? Il programma inizia tra pochi minuti, l'intervistatrice sta arrivando.»

Come evocata, la giornalista si materializzò alle sue spalle, seguita da un paio di immancabili energumeni della sicurezza. Maxwell parve seccata: «Ero venuta a vedere se le servisse qualcosa…» disse, cercando di dissimulare il suo disappunto.

Ysaahi avrebbe voluto gridare che sì, le serviva qualcosa: una parola, una sola, maledetta parola d'ordine che avrebbe scatenato una rivolta e l'avrebbe rimandata finalmente a casa, dove le persone non cercavano di farsi la pelle a vicenda e studiare non era poi così duro come lavorare dodici ore ad una catena di montaggio. A fatica riuscì a riprendere il controllo.

«Io… Credo di essere un po' emozionata…» farfugliò, cercando di nascondere la sua inquietudine. «La posta in gioco è molto alta… Voglio dire, per il successo del film» si corresse, maledicendosi per la sua disattenzione: se già adesso commetteva degli errori così grossolani, come poteva sperare di non tradirsi durante l'intervista? Fece per tornare sui suoi passi ma il capitano Maxwell la fermò, afferrandola per le spalle e costringendola a guardarla negli occhi: «Non abbia paura, siamo tutti dalla sua parte» disse con voce calda e rassicurante, in netto contrasto con l’audace completo di pelle nera che indossava. Ysaahi sentì il sangue ricominciare a scorrerle nelle vene e il colore tornarle sul viso.

«Farò del mio meglio» disse, pur sapendo che il suo meglio non sarebbe bastato.

Joan Maxwell sorrise. «Come sempre. E si ricordi Cadetto: ottimismo!»

Un attimo dopo, i due energumeni e la giornalista la trascinarono nello studio di registrazione.

«Chiariamo subito le regole» disse il regista, senza mezzi termini. «Risponda solo alle domande che le vengono poste, in maniera semplice e concisa. Niente divagazioni, niente aneddoti, niente riflessioni personali. Rimanga seduta sulla poltrona senza fare gesti strani o movimenti non necessari. Il programma è in diretta, a guardarlo ci saranno le maggiori autorità del campo: se faremo la splendida figura che tutti si aspettano ci saranno premi e facilitazioni per tutti, ma se dovessimo disattendere le aspettative…»

Non ci fu bisogno di specificare cosa sarebbe successo se qualcosa fosse andato storto, tutti sapevano quali punizioni erano in agguato se qualche pezzo grosso avesse avuto qualcosa da ridire.

Ysaahi, mestamente seduta sulla sua poltroncina, aspettava come un condannato nel braccio della morte: dal suo punto di vista, tutto sarebbe certamente andato storto. A dispetto dell'atteggiamento dimesso, la sua testa lavorava febbrilmente: ripercorse ogni minuto trascorso in quello strano universo, ogni oggetto nel suo alloggio, ogni dettaglio delle sue conversazioni, alla disperata ricerca di qualcosa che potesse suggerirle la parola d'ordine. Qualcosa a cui non aveva dato importanza prima di venire a conoscenza del piano. Inutilmente…

L'intervista procedette senza particolari problemi: forse il pubblico l'avrebbe preferita in una veste più brillante ma la paura di compromettersi e il disperato sforzo per trovare il bandolo della matassa, la facevano apparire timida e impacciata. Con angoscia, vide il segnale 'on air' spegnersi improvvisamente: la prima squadra era in posizione e pronta ad agire.

Sperò contro ogni logica che la seconda squadra fallisse, invece le risuonò in cuffia un fischio prolungato.

Tutto era pronto, ognuno era al proprio posto tranne lei: la persona giusta nell'universo sbagliato. L'intervista volgeva inesorabilmente al termine, erano gli ultimi minuti per tentare qualcosa. Nervosamente, affondò le mani nelle tasche, urtando contro qualcosa: lo tirò fuori senza rendersene conto.

«Ah, un bullone autosigillante, uno dei gingilli tecnologici di ‘Numero Z’» chiocciò l'intervistatrice. «Se ricordo bene, è uno degli strumenti di tortura preferiti dal nostro eroe.»

Ysaahi rispose meccanicamente qualche cosa: quel bullone autosigillante le aveva ricordato le esercitazioni di Vinsar nel laboratorio di ingegneria, quelle che lei regolarmente falliva e che doveva rifare più volte per punizione. Ripensò con nostalgia a solo pochi giorni prima, quando non era un rivoluzionario fallito ma un Cadetto della Flotta Stellare. Un Cadetto… Detto dalla Maxwell aveva un suono speciale. Ma questa non è l’Accademia della Flotta, come faceva lei a sapere… E quella voce, quello sguardo… Vuoi vedere che…

«E con questo salutiamo il nostro nuovo 'Numero Z'» concluse la giornalista, sorridendo con soddisfazione. «In attesa delle prossime avventure, c'è qualche cosa che vorrebbe dire ai nostri telespettatori?»

Per la prima volta dall'inizio dell'intervista, Ysaahi guardò direttamente in camera, mentre sul suo viso si apriva in un radioso sorriso: «Beh, come ama ripetere 'Numero Z': ottimismo!» ²

A quella parola, l'intero campo esplose in un boato assordante. I sistemi di sicurezza saltarono. Le telecamere interne si accesero senza che nessuno riuscisse a bloccare la trasmissione.

La rivolta ebbe inizio.

 

Note

¹   Paletto numero 3: un suono dell’Accademia – sarebbe più preciso dire «nell’Accademia» ma passatemi la licenza – fa sentire il cadetto più vicino a casa, cioè alla sua Accademia che considera come casa - anche qui, forse, intendevate il pianeta natale, ma passatemi anche questa licenza. Altrimenti avrei dovuto mettere il suono della sirena che le ricorda la fine delle lezioni al collegio dove era stata spedita per darsi una calmata, ma mi sembrava banale.

²   Paletto numero 2: Ysaahi porta a termine la missione grazie ad un bullone autosigillante: non lo fa coscentemente ma senza quel bullone non avrebbe mai capito il suggerimento di Maxwell.

Inoltre paletto numero 1 : Ysaahi incontra il doppio di Pel, Felix Viskas e Beatrix Quinroy (e non il suo!).